SULLA SHOAH NULLA DA RIDERE
La "barzelletta" è questa. "Un kapò all'interno di un campo di concentramento dice ai prigionieri che ha una notizia buona e un'altra meno buona. Metà di voi sarà trasferita in un altro campo. E tutti contenti ad applaudire…
La notizia meno buona è che la parte di voi che sarà trasferita è quella che va da qui in giù, indicando la parte del corpo dalla cintola ai piedi". Si fa anche fatica a scrivere un tale abominio e non si può fare a meno di chiedersi che cosa abbia in testa chi racconta roba del genere pensando che ci sia qualcuno che si mette a ridere e che si diverta a quella che lui considera una "barzelletta". C'è anche da chiedersi se esista davvero qualcuno che sorride, per compiacenza, per ruffianeria o perché trova divertente una "storiella" del genere.
C'è da chiedersi che strano paese sia quello in cui esiste ancora qualcuno che pensa di alleggerire il discorso, di fare una carineria, di essere spiritoso, un po' come quando si fanno le corna in una foto di gruppo o si gioca a nascondino con i propri colleghi durante una pausa pranzo, sulla sterminata tragedia della Shoah. Davvero si ritiene opportuno sdrammatizzare l'assassinio di milioni di persone, di donne, vecchi e bambini, che dovevano essere cancellati come popolo, trasformati in cose, in animali da soma o da macello per essere buttati via quando non servivano più?
Gli uomini di mondo sanno che si può scherzare su tutto, meglio se con un pizzico di autoironia, ma sanno anche che la nostra società si è autoimposta dei tabù, dei recinti dentro i quali non si può entrare giocando e scherzando, perché c'è uno spazio della memoria che non può essere violato. Siamo diventati esseri civili anche grazie a questi tabù (come nel caso dell'incesto) e se usciamo da questo patto fondamentale di umanità facciamo un passo indietro verso la barbarie.
Ieri abbiamo celebrato il Giorno della Memoria (il 27 gennaio 1945 i soldati dell'Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz) e abbiamo raccontato nelle scuole un piccolo frammento di Shoah a milioni di giovani che ne sanno poco o nulla, ma che diventano subito silenziosi ed attenti quando si accenna appena a storie come quella di Anna Frank o di Primo Levi. Giovani che rimangono perplessi quando sentono, qua e là, da amici, professori e vescovi che negano l'esistenza dei campi di sterminio, che potevano essere al massimo dei campi di lavoro piuttosto severi in cui si moriva con una certa frequenza.
Ma perché ricordare proprio la Shoah dentro la storia dell'umanità che ha accumulato stragi su stragi? Forse perché per la prima volta nella storia, al culmine della nostra modernità, la nostra civiltà, la nostra scienza, l'efficienza logistica ed organizzativa di cui siamo tanto orgogliosi sono state messe al servizio dello sterminio di un intero popolo. Forse perché abbiamo il sospetto che se è capitato una volta può accadere di nuovo e quindi dobbiamo vigilare, soprattutto su noi stessi.
Per questo dobbiamo vigilare anche sulle "barzellette", che già nel passato hanno aperto "simpaticamente" la strada alle leggi razziali e alla banalità del male. Per questo sarebbe opportuno che se qualcuno volesse raccontarci una barzelletta sulla Shoah rispondessimo tutti e subito, a muso duro, "no grazie". In questo modo daremmo un po' di sostanza alla Giornata della Memoria.
(La "barzelletta" è stata raccontata dal Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, nel corso della campagna elettorale per le elezioni regionali sarde, al teatro Eliseo di Nuoro il 17 gennaio 2009).
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