Sveglia all’alba, silenzio e montoni al pascolo oltre i muri in pietra dell’oasi di San Cipriano

Un giorno con le 14 suore di clausura che vivono nel monastero in Carso dove non c’è la tv, la Provvidenza porta biscotti e la morte non fa paura 

il reportage



Il passaggio dal rumore incessante del mondo esterno al silenzio ovattato della clausura inizia molto prima dell’ingresso al monastero. Se esiste un confine con la sua dimensione delicata, lo si può individuare non appena si svolta a sinistra, superato il paese di Prosecco in direzione Santa Croce, iniziando a percorrere una suggestiva strada sterrata, immersi nel Carso. Qualche incrocio, alcune indicazioni ben precise, e si prosegue fino ad arrivare alla struttura di San Cipriano, circondata da alte mura di pietra. Il cortile principale si apre, da un lato, alla piccola chiesa; dall’altro, alla dimora delle monache. Nel 2012, dal colle di San Giusto nel centro di Trieste, dove l’ordine è radicato dal 1278, le religiose si sono trasferite qui, in un edificio a 3 piani, grande 3500 metri quadrati, da cui si scorge il mare. Oggi sono in 14 e seguono la Regola di San Benedetto, il testo redatto dal santo di Norcia vissuto nel ‘500. Varcato il primo cancello, diretti verso la loro residenza, si attraversa il chiostro ornato da una lunga catasta di legna. Oltre il portone si entra nell’atrio. «La porta, lì affianco», suggerisce una voce che proviene da una grata. Contemporaneamente sulla destra, verso il parlatorio, appare la badessa Madre Maria Elena Nardelli e, con lei, si dischiude uno spiraglio sulla vita contemplativa.

Il silenzio

All’interno del monastero, il silenzio riflette la pienezza della vita trascorsa nella preghiera. «Non è tanto il non parlare- spiega la Madre - quanto continuare il dialogo con il Signore. Ed è difficile farlo se si hanno continui rapporti con l’esterno». Nella vita delle monache, come nel film “Il grande silenzio” del regista tedesco Philip Gröning, dominano i rintocchi delle campane, mentre tutto si fonde tra i ritmi delle liturgie. «Anche se si tratta di discorsi buoni, santi ed edificanti- puntualizza il capitolo 6 della Regola- per mantenere la gravità del silenzio, ai discepoli perfetti si conceda raramente la facoltà di parlare».

contatto con l’esterno

Nonostante la separazione dal mondo, tutti gli ospiti saranno “accolti come Cristo”. A San Cipriano esiste una foresteria che a breve dovrebbe tornare in funzione. Il telefono della portineria, soprattutto di mattina, suona continuamente. «In molti ci chiamano per chiedere una preghiera. Una signora ci telefona ogni giorno dalla Sicilia, qualche studente chiama prima di un esame. Rispondo loro: «Noi preghiamo, ma tu studia!», dice la badessa con un sorriso. Al monastero la televisione non esiste. Ma c’è un proiettore, munito di due casse e di una connessione a internet. In questo modo le sorelle possono ascoltare il Papa o seguire la chiusura del Sinodo. Le religiose hanno a disposizione alcuni quotidiani: l’Avvenire e l’Osservatore Romano. E poi, c’è la Provvidenza. «Bussa sempre, tutti i giorni, alla nostra porta. Spesso ci dona scatole di biscotti o altri generi alimentari e per noi è una benedizione».

La quotidianità

Al monastero la sveglia è puntata alle 4.40 nei giorni feriali e alle 4.55 in quelli festivi. Per tutte le sorelle, all’interno delle singole celle, inizia la giornata liturgica, scandita dalle ore canoniche. Alle 7 le monache sono pronte per la Messa a cui seguono le Lodi. All’interno della chiesa, con la luce dell’alba che fa capolino dalle finestre, può capitare di incontrare qualche credente, giunto a piedi dai paesi vicini per dedicarsi a un momento di preghiera prima di andare al lavoro. Gli ospiti si accomodano nei banchi paralleli all’altare, mentre le religiose occupano quelli disposti perpendicolarmente, sui due lati. Una di loro è seduta all’organo. Terminata la funzione, ci si dedica al lavoro perché “L’ozio è nemico dell’anima”, scriveva San Benedetto. Fino a qualche anno fa le monache rilegavano testi antichi ma ora, considerata la loro età che va dai 55 ai 96 anni, buona parte dell’impegno delle più giovani è dedicato alla cura delle anziane, come in una grande famiglia. Il contatto con Dio non cessa neanche durante i pasti: una religiosa legge, mentre le altre siedono a tavola. Dopo il pranzo, si riposa per poi riprendere le attività. Nel cortile interno del monastero alcuni montoni pascolano beati. Spesso capita che oltre il vetro, spostandosi da finestra a finestra, gli animali seguano le monache mentre si muovono nel piano terra. «Capisco perché il Signore nomini spesso le pecore, sono così miti e docili», riflette la badessa. Il giardino è uno spazio ampio e, con un po’ di lavoro di bonifica dalle pietre, potrebbe essere coltivato.

Nel tardo pomeriggio si ritorna alla chiesetta. L’ufficio divino procede con i Vespri e, a volte, con qualche prova di canto. Durante le Intercessioni, ci si rivolge a Dio per i poveri, per le persone malate, per i migranti. Dopo la cena, ci si reca nella propria cella. “La tua grazia ci conceda di riposare in pace sicuri da ogni male”, recita la Compieta. E così, la giornata volge al termine e ogni monaca spegne la propria lampada.

Le nuove vocazioni

«Per 6 mesi è stata con noi una ragazza di 30 anni. Si è trovata bene ma evidentemente era chiamata ad altro», osserva serenamente la Madre. Ma non è la sola a essersi avvicinata. Anche altre 2 o 3 donne, più o meno giovani, stanno considerando la possibilità di prendere i voti. «Credo che il “per sempre” spaventi, sia nella vocazione sia nel matrimonio. Il Signore chiede tutto e per sempre. E questo è controcorrente, in un momento pieno di sollecitazioni. Se il Signore chiama, è necessario mettere pace dentro di sé. Spetta poi all’abate sincerarsi delle sue vere intenzioni». Il crollo globale delle vocazioni è un tema non certo ignorato. A Trieste, dai dati dell’Usmi, l’Unione superiore maggiori d’Italia che unisce gli istituti religiosi femminili, le suore, tra vita attiva e contemplativa, sono circa un centinaio. Negli ultimi decenni, a giudicare dalla chiusura di diverse strutture, anche il capoluogo giuliano ha subito una notevole flessione delle presenze religiose femminili.

La vita per il Signore

Di recente, la piccola comunità è stata toccata da due perdite. La scorsa settimana, dopo una lunga malattia, è deceduta a 88 anni la signora Sara, madre di una delle monache, che era ospite al monastero. «La cura degli infermi è uno dei nostri cardini», racconta la badessa. Qualche mese fa, invece, è spirata la monaca Santina, 100 anni compiuti a giugno scorso. «Abbiamo chiamato tutte le sorelle - continua- giusto in tempo per pregare tutte assieme». Tra queste mura invalicabili, la fine della vita terrena, è considerata una festa; il momento più alto, il ricongiungimento con l’essere superiore a cui si è dedicato ogni singolo attimo. «Qui la morte è una gioia, non fa spavento», aggiunge. Le stesse parole che, più di 60 anni fa, suor Madre Teresa dell’Eucarestia sussurrava al microfono di Sergio Zavoli, autore del radiodocumentario Clausura (1957). A testimonianza della fede immutata di queste donne che decidono di donare la propria esistenza alla Lode di Dio e alla completa rinuncia delle logiche terrene. —





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