Terrorismo, ecco chi è il giovane arrestato a Monfalcone

Firat Alcu, 27 anni, fratello di Murat, noto titolare di locali, è tra i cinque arrestati per terrorismo. In precedenza aveva vissuto a Cervignano. A capo del sodalizio “Da’wa Italia” c’era una 22enne di origini pachistane con base a Bologna, una vera influencer della jihad

 

Laura Borsani
L'operazione dei carabinieri del Nos
L'operazione dei carabinieri del Nos

C’è un giovane di origini turche residente a Monfalcone tra i cinque arrestati da parte del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri nell’ambito di un’operazione anti-terrorismo islamico. I militari del Ros di Udine si sono presentati a casa sua all’alba della vigilia di Natale, dando esecuzione alla custodia cautelare.

Firat Alcu, 27 anni, fratello di Murat, notissimo titolare di locali di kebab e pizze presso cui lui stesso lavorava, è stato poi trasferito nel carcere di Gorizia, in attesa di essere sottoposto a interrogatorio di garanzia.

Gli arrestati

Assieme a lui, nell’alveo di una complessa indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Bologna assieme al Dipartimento Antiterrorismo, sono stati arrestati altri quattro giovani di origine straniera, residenti a Bologna, Milano e Perugia, ritenuti, a vario titolo, responsabili di aver costituito, o fatto parte, di un’associazione terroristica dedita alla promozione, al consolidamento e al rafforzamento delle formazioni terroristiche globali, denominate “Al Qaeda” e “Stato Islamico”. Al centro dell’inchiesta un sodalizio d’ispirazione salafita-jiahdista denominato “Da’wa Italia”, dal quale si sarebbero “innervate” le attività di propaganda di contenuti jiahdisti, con il reclutamento di nuovi adepti.

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Le influencer della jihad

Un’attività di proselitismo che avveniva soprattutto sui social come dimostrato dall’attivismo di quella che gli inquirenti considerano la leader del gruppo, una ragazza pachistana di 22 anni, cresciuta e residente a Bologna, rientrata da poco in Italia dopo un viaggio nel paese d’origine. Sarebbe stata lei, insieme ad un’altra giovanissima, una 18enne di origine algerina, cresciuta e residente a Spoleto, a formare il gruppo “Da’wa Italia”.

Le due influencer della jihad pubblicavano numerosi post pubblici su Instagram, X e TikTok e nelle loro chat private - emerge dagli atti - parlavano esplicitamente del bisogno di attivarsi per punire gli infedeli. «Arriverà il nostro momento», si dicevano a maggio, inneggiando alla guerra santa contro gli infedeli “da sgozzare” e alla necessità di raddrizzare i piccoli musulmani che crescono in Paesi di "miscredenti", come l'Italia. Sognavano di portare la legge islamica a Roma, di vivere nello Shaam, nei Paesi come Siria e Palestina, con imposizione della Sharia. Proprio al popolo palestinese avevano manifestato più volte solidarietà, anche in riferimento a fatti riportati dai media come gli attacchi israeliani a Rafah.

Del gruppo faceva parte anche il fratello della 22enne di Bologna, un ragazzo di 19anni radicalizzato nel giro di pochi mesi, che oggi comparirà insieme a lei davanti al gip al gip Andrea Salvatore Romito del Tribunale di Bologna per l’interrogatorio. Risulta latitante invece il quinto indagato, un 20enne di origine marocchina residente a Milano, "arruolatosi" in Corno d’ Africa a novembre, destinatario della misura cautelare.

Il “bro turco”

Firat Alcu era dunque il più “anziano” del gruppo ed era soprannominato dagli altri il “bro turco” (abbreviazione in inglese di “fratello turco”). Arrivato in Italia già da qualche tempo, si era trasferito a Monfalcone dalla Bassa friulana nel 2024, andando ad abitare in via Brigata Messina, dove risiedeva assieme ai parenti. Non è sposato, né ha figli. Alle spalle ha una condanna in Turchia per finanziamenti terroristici. Anche lui, secondo l’accusa, avrebbe partecipato attivamente all’organizzazione “Da’wa Italia”, diffondendo contenuti estremisti sfruttando la tecnologia digitale, veicolando messaggi pro guerra santa soprattutto «tra giovani di seconda generazione con un bakground migratorio - scrivono i Ros - o ragazzi italiani in cerca di una chiara identità e che più di altri subiscono la fascinazione della retorica jihadista globale».

Il proselitismo dentro il locale

Tuttavia, secondo alcune ricostruzioni, Alcu avrebbe fatto proselitismo non solo attraverso la rete, ma anche in maniera diretta all’interno delle sue attività di ristorazione, specie tra i dipendenti, davanti ai quali si sarebbe lasciato andare a commenti fortemente anti-occidentale. E nelle sue intenzioni ci sarebbe stata pure quella di aprire una moschea. Circostanze che, però, i Ros non confermano, precisando come l’indagine faccia riferimento essenzialmente all’attività di propaganda online.

L’indagine

L’indagine che coinvolge lui e gli altri quattro giovanissimi è partita nel 2023. Il sospetto è che la banda, in particolar modo la leader pachistana, oltre alla propaganda online, avesse come obiettivo il salto successivo: la creazione di rapporti sul campo con membri di gruppi di lotta armata. Più volte nelle conversazioni con l'altra ragazza del gruppo, emerge tra le due anche il progetto di trasferirsi e vivere insieme in Paesi - del Centro Africa ma non solo - con campi di addestramento jihadisti o comunque con dottrina islamica. Va detto che per le ragazze l'indottrinamento iniziava tra le mura di casa, all’interno di famiglie di origine straniera ma che risultano bene integrate nella cultura occidentale, in contesti non disagiati, e che per questo loro stesse disprezzavano apertamente.

Come assolutamente ben integrata e apprezzata per la sua dedizione al lavoro è appunto anche la famiglia Alcu, vera istituzione nel campo delle pizzerie-kebab del Monfalconese e non solo. —

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