Tra cementificazione e nostalgia del passato la storia del fiume che affascinò Virgilio

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Vengono chiamati torrenti, fiumi, corsi d’acqua o patok. Corrono in superficie, raccontano storie di vita terrena, materiale e narrazioni simili a suggestioni. Durante la loro esistenza scorrono lentamente e vengono interrati, interrotti dalla modernità che copre e cementa. Nascono sui versanti delle periferie triestine e il loro flusso si interrompe nell’abbraccio con l’Adriatico. Tutto ciò, quando è il Timavo ad essere protagonista non vale.

«Davanti al campo di famiglia nei pressi delle bocche – racconta Aleš Pernarčić di Medeazza/Medja Vas – dopo la Seconda guerra mondiale i camion degli Alleati scaricavano munizioni e molto altro nel fiume. Oggi è stato tutto cementificato e alcune aree della zona stanno crollando per le bonifiche realizzate dal genio militare». Timavo non significa per forza splendore, può, nell’animo degli abitanti, manifestare anche una certa nostalgia dei tempi passati. «Sicuramente una volta il fiume e i due paesi vicini erano molto più legati rispetto ad oggi», afferma Aleš. «Esistevano vigneti, alcuni orti, due mulini. Mio nonno mi racconta che da bambino andava a guardare i grappoli d’uva che lì crescevano e che si andava persino a vendemmiare lì vicino al fiume. Il rapporto ormai si è inclinato e purtroppo resta un qualcosa di distante, quasi ingestibile. Pensa che tempo fa avevano posizionato delle panchine vicino alla chiesa e dopo un mese sono state rubate».

Per il Timavo il coro delle voci non è armonico. Se Virgilio scrisse di questo luogo come la porta degli inferi e del fatto che si sentisse il frastuono delle sue acque anche a chilometri di distanza, dopo oltre duemila anni, c’è chi non ha paura delle viscere della Terra. «Cos’è il Timavo per noi della Adriatica di Speleologia? La vita», dice Marco Restaino. La Sap ogni anno organizza un progetto internazionale di ricerca che ha un nome inglese: “Timavo System Exploration” (vale a dire l’esplorazione del sistema del Timavo, ndr). «Sono esplorazioni speleosubacquee delle risorgive e dell’abisso di Trebiciano, prima finestra storica sul percorso del fiume». Da dieci anni la Sap sta scavando in una cavità carsica che si collegherà col Timavo. «Siamo a meno 250 metri e ultimamente c’è la presenza di indubbi indicatori biologici che testimoniano il diretto collegamento», racconta Restaino.

La differenza tra i torrenti di Trieste e il Timavo sta proprio nell’intervallo tra la terra e il sottosuolo. Nonostante ciò, le risorgive sono un altare spirituale, passaggio leggendario di Argonauti, dei bombardamenti che riecheggiano dalle pendici del monte Hermada, descritti con precisione da Fritz Weber in Tappe della disfatta. Il Timavo è un furgone dell’Università di Lubiana che si ferma e raccoglie dna ambientale. «Negli ultimi tre anni stiamo collaborando – afferma Restaino – anche con l’Università degli Studi di Trieste per tracciamenti delle acque per definire con sicurezza il percorso, facciamo ricerche sul campo, esplorative e biologiche. Mettere in evidenza le attività di ricerca per noi è importante, la divulgazione è conoscenza».

Passano scolaresche, le libellule blu si alzano immobili in volo e le rane rimangono a respirare, calme, davanti all’uomo che gironzola curioso. Fantastificio Film Production e Tullio Bernadei nel 2011 hanno realizzato un vero e proprio film, targato National Geographic, dal titolo Alla ricerca del fiume nascosto. All’interno del trailer le uniche parole che si ascoltano risiedono in una semplice frase: «sshh, senti? Ascolta piano...è lui! ».

Il Timavo è un moto d’acqua che nasce lontano, dentro cavità e abissi carsici, profondi e misteriosi. L’immaginazione porta chiunque a pensarlo di giorno, alla luce del sole, eppure non è sempre così. E l’oscurità sta anche nel titolo del libro di Pietro Spirito, Nel fiume della notte. Ci sono persone che ne hanno scritto, che lo guardano con affetto, chi lo pensa di sua nobile proprietà, chi in fondo si meraviglia. La sorpresa di chi arriva da fuori è certamente la miglior medicina allo scetticismo e le guide turistiche portano qui, sulle mappe geografiche il punto è segnato come luogo d’interesse.

Se i torrenti di Trieste scorrono tutti su suolo esclusivamente italiano, il Timavo non conosce confini o restringimenti, o quelle condotte imposte dall’uomo, nelle mani pesanti di ingegneria sperimentale. No. Il Timavo scorre in stati diversi, scompare e riappare, migra da una zona all’altra beffando chiunque tenti anche solamente di fermarlo per un istante, ingabbiarlo, inchiodarlo per sempre. La chiesa di San Giovanni in Tuba sembra controllare la sua emersione, la sua salute. Le convinzioni personali su questo corso d’acqua spesso sono in contrasto tra di loro, fino a quando non si arriva verso la conclusione. Infatti, dopo oltre 100 chilometri il Timavo sfocia nel mare. O nasce? –









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