Raoul Pupo: vi racconto il Trattato di Osimo cinquant’anni dopo
Il contesto, gli scenari e la firma il 10 novembre 1975: nel 1977 l’entrata in vigore che pose la pietra tombale su ogni ipotesi di costituzione del Tlt

Il trattato italo-jugoslavo di Osimo fu il risultato di una situazione consolidatasi e di una preoccupazione comune. La situazione era quella di buon vicinato creatasi negli anni ’60 per due ragioni.
In primo luogo, la funzione di cuscinetto strategico della Jugoslavia neutrale a vantaggio dell’Italia nei confronti dell’Unione Sovietica. Poi, l’ottima collaborazione fra due economie complementari. La preoccupazione era quella per il “dopo Tito”, condivisa da tutte le cancellerie occidentali.
Gli scenari erano cupi. La prima possibilità ipotizzava che la Jugoslavia rifluisse nell’orbita di Mosca, portando nuovamente l’Italia nella prima linea della “guerra fredda”. La seconda, che la Federativa si spaccasse, nel qual caso Slovenia e Croazia sarebbero state troppo deboli per fronteggiare le forze del Patto di Varsavia. La terza e più inquietante prevedeva che il collasso jugoslavo provocasse l’intervento armato dei sovietici per difendere il comunismo e della Nato per sostenere l’indipendenza slovena e croata, innescando la terza guerra mondiale.
Se poi la crisi fosse esplosa con un confine ancora giuridicamente incerto, questo avrebbe concesso una formidabile leva al Cremlino nei confronti dell’Italia. Infatti, se la condizione della zona B era incerta, lo era anche quella della zona A e sul destino di Trieste i russi avrebbero avuto probabilmente qualcosa da dire.
Così, dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968 il governo italiano prese l’iniziativa di proporre colloqui esplorativi per superare il Memorandum di Londra del 1954, dal momento che entrambi i Paesi non intendevano modificare gli assetti territoriali previsti da quell’accordo. Molte erano le questioni da risolvere, ma due i nodi politici fondamentali del successivo negoziato.
L’Italia riteneva di detenere ancora formalmente la sovranità sulla zona B ed intendeva ottenere quale contropartita alla sua rinuncia la concessione di una piccola area della zona medesima per ampliare il distretto industriale di Trieste. Gli jugoslavi si consideravano detentori della sovranità fin dal 1954 e non erano disposti quindi a concessioni seppur solo simboliche.
Invece, il governo di Belgrado desiderava estendere le norme di tutela della minoranza slovena previste dal Memorandum anche alle altre province italiane, compresa quella di Udine, e chiedeva gli venisse riconosciuto un diritto di controllo sull’applicazione di tale normativa. Roma invece non ne voleva sentir parlare, vuoi perché secondo il governo italiano in provincia di Udine di sloveni non ce n’erano proprio, vuoi perché il “droit de regard” a favore dell’Austria stava procurando infiniti problemi all’Italia nella questione dell’Alto Adige.
Su questi nodi la trattativa s’incagliò, anche perché le turbolenze della politica italiana consigliavano grande prudenza nell’aggiunger carne al fuoco che consumava un governo dopo l’altro, mentre viceversa Belgrado aveva fretta di concludere e temeva che gli italiani dicessero una cosa ma ne facessero un’altra.
Ne seguirono alcuni tentativi di forzatura, nel 1970 e nel 1974, che consigliarono l’avvio di un nuovo canale negoziale affidato a due esperti economici, Eugenio Carbone per l’Italia e Boris Šnuderl per la Jugoslavia. A sbloccare la trattativa comunque non furono solo le capacità dei due negoziatori, ma la decisione dei vertici politici dei due Paesi a rinunciare alle pregiudiziali.
Roma lasciò perdere la richiesta di concessioni territoriali simboliche in zona B e cercò di risolvere il problema del rilancio economico di Trieste ottenendo dalla Jugoslavia un’area molto più ampia sul Carso in cui creare una zona industriale a cavallo del confine. Belgrado rinunciò sia all’estensione delle norme di tutela della minoranza slovena alla provincia di Udine, sia al diritto di vigilanza, accontentandosi di una dichiarazione unilaterale da parte italiana.
Alla fine del 1974 l’accordo era quindi raggiunto, ma le incertezze del quadro politico italiano ne fecero posporre la firma al novembre del 1975. Infine nel 1977 l’entrata in vigore del Trattato venne comunicata al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che ne prese atto e pose la pietra tombale su ogni ipotesi di costituzione del Territorio Libero di Trieste.
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