Trieste, compra oro in tv: la telefonista la raggira

TRIESTE La prima volta, assistendo alla televendita, aveva chiamato il più classico dei numeri in sovraimpressione per prenotare un anello. Dopo qualche giorno l’inviata dell’impresa venditrice gliene aveva portati a casa tre, riuscendo a convincerla a prenderli tutti e a pagare più del doppio di quanto era stato pattuito al telefono. La seconda volta, davanti alla solita televendita, s’era innamorata di una serie di gioielli al punto da prenotarli in blocco, sempre e comunque via telefono. Roba da più di mille euro. Ma quando la stessa inviata s’era ripresentata alla sua porta, mica le avevano procurato ugual entusiasmo.
Il suo tentativo di rifiutarli era però andato a farsi benedire. Altro che clausola del “visto e piaciuto”. M.S., triestina di 70 anni, aveva così denunciato alle forze dell’ordine la sua doppia “avventura”, e da lì s’era messa in moto un’inchiesta che ha portato ora in un’aula di Foro Ulpiano - con l’accusa di truffa continuata - Alessandra Virginio, 40 anni, friulana nativa di Palmanova che vive nel Padovano. È lei l’inviata della “Gioielli Valenza” di Pistoia, in missione a Trieste a casa di M.S., cui aveva appunto consegnato una volta tre anelli anziché uno e un’altra una serie di monili che alla parte compratrice non erano parsi belli come alla tv, durante una televendita diffusa su un’emittente privata del Triveneto.
Ieri, davanti al giudice onorario Valentina Guercini, è andata così in scena una delle udienze di questo singolare processo, scaturito da un decreto di citazione diretta a giudizio a carico di Virginio, firmato dal pm Massimo De Bortoli, il magistrato della Procura che ha coordinato le indagini compiute, in base alla denuncia di M.S., dagli investigatori della Guardia di finanza. Singolare, questo processo, perché oltre a nascere proprio da un decreto di citazione diretta del pm registra al momento la totale assenza della parte offesa, che potrebbe da codice pure costituirsi parte civile. Ieri, infatti, dopo aver sentito gli investigatori in aula, alla presenza dell’avvocato Andrea Cavazzini, difensore d’ufficio di Virginio, il giudice ha disposto il cosiddetto accompagnamento coattivo della parte offesa in aula in vista della prossima udienza, già fissata per il prossimo lunedì 2 novembre.
La vicenda oggetto del processo risale a cinque anni fa. Nella primavera del 2010 M.S. aveva prenotato un anello da 290 euro. L’inviata della “Gioielli Valenza”, che ieri in aula s’è saputo essere all’epoca una telefonista addetta per l’appunto alle televendite con ulteriori eventuali mansioni “collaterali”, era riuscita a venderle seduta stante altri due. “Se non concludo questa vendita, mi licenzieranno”, l’avrebbe impietosita secondo la denuncia della parte offesa. M.S. aveva così staccato due assegni da 350 euro l’uno, strappando per contro una specie di promessa di restituzione su una carta priva di qualsiasi immaginabile valore giuridico, ovvero sulla pagina di un calendario da parete, in cui Virginio si impegnava a restituire quei soldi non appena avrebbe venduto quegli anelli, lasciati nel frattempo all’anziana in conto vendita, a qualcun altro. Successivamente, dopo che M.S. aveva reclamato il rimborso, alla donna triestina era stato consegnato un assegno postale abbondantemente postdatato, asseritamente firmato da una cliente “terza”. In estate, quindi, l’episodio dei gioielli “visti e non piaciuti”.
Due lotti, un primo riguardante un anello singolo e un secondo comprensivo di anello, orecchini e pendente. Dopo un’estenuante trattativa, Virginio era riuscita a ottenere quattro assegni da 260 euro l’uno, e in cambio aveva promesso di far modificare quei monili affinché divenissero più appetibili per la signora. Due settimane più tardi l’inviata di Padova era tornata a casa di M.S., che aveva manifestato l’intenzione di non accettare i due lotti nonostante le modifiche. A quel punto Virginio se n’era andata, lasciando sul tavolo di M.S. i gioielli, e tenendosi ovviamente gli assegni, con tanti saluti al diritto di recesso. Una storia che l’avvocato Cavazzini, dato che non sono inequivocabili né l’intestazione degli assegni né l’eventuale incasso, intende approfondire, per delimitare al caso i confini delle responsabilità tra l’inviata e la società per la quale lei lavorava.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo