Trieste, la “rinascita” della chiesetta dei misteri

TRIESTE. Operai al lavoro e rumore di attrezzi: il silenzio è rotto nell’ex chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco, rudere di Cavana dalla storia millenaria popolato di templari e fantasmi che da solo potrebbe riempire una puntata di Voyager, il programma di successo di Roberto Giacobbo.
Ma partiamo dalla fine. Sono gli ultimi giorni dell’ultima giunta Dipiazza, anche se c’è chi spera non sia stata l’ultima, e il Comune vende alla Curia per 325mila euro la chiesetta di via San Sebastiano 3 sconsacrata, abbandonata e pericolante. C’è una clausola: i soldi incassati il Comune dovrà utilizzarli per restaurare altre chiese. È il 18 maggio 2015, cioé ieri, e don Pier Emilio Salvadè, vicario generale ed economo della Diocesi conferma: «Era l’unico immobile di un’area riqualificata che faceva pena. Per ora abbiamo commissionato lavori di pulizia e di messa in sicurezza. Poi attenderemo le donazioni dell’8 per mille, l’esito di una richiesta di finanziamento fatta al Comune, la generosità dei fedeli e magari un appello lanciato dal “Piccolo”: l’obiettivo è poter inaugurare tra un paio d’anni in quello stabile decrepito una chiesetta riconosacrata e un museo diocesano».
Nel 1951 la contessa Margherita Nugent Laval donò la chiesetta, già dismessa e murata, al sindaco Gianni Bartoli con precisi vincoli però di futura destinazione, a cominciare da una riconsacrazione a San Rocco e una riapertura al culto cattolico. «La sua sorte era segnata», scherza don Pier Emilio. Anche se si compirà dopo quasi una settantina d’anni. In compenso il vicario generale della Diocesi dà atto al Comune di aver impiegato nel modo previsto i soldi ricavati: «per restauri della chiesa di Sant’Antonio Nuovo e di quelle di Barcola e di Roiano».
Una destinazione religiosa perché l’edificio di via San Sebastiano 3 è sorto sul fondo «dannato e vacuo» dei Ranfi. Marco Ranfo console del Comune di Trieste e sospetto templare nel 1313 fu mandato a morte insieme ai suoi figli maschi, forse perché traditore a favore di Venezia. La sua casa in Cavana fu distrutta con spargimento di sale e la riserva di non poter più edificare in quel luogo. Secondo alcuni già nel 1365 la confraternita di San Sebastiano edificò in quel sito la propria chiesetta. Fonti più accreditate sostengono che la chiesetta sorse per desiderio testamentario del vescovo triestino Nicolò Aldegardis che nel 1447 auspicò la costruzione di una chiesetta dedicata al santo da erigersi dopo la sua dipartita.
Un’indulgenza di Papa Pio II accordata alla cappella unita a una bolla di patronato concessa ad Antonio de Leo proprietario dell’attiguo edificio attestano l’esistenza di San Sebastiano nel 1459. Tra il 1511 e il 1543 la chisetta viene sconsacrata causa l’infuriare della peste e quando l’epidemia cessa l’edificio viene ricostruito e dedicato non più soltanto a San Sebastiano, ma anche a San Rocco, santo protettore contro la peste. Ben presto però perde di importanza a causa della consacrazione della nuova chiesa di San Rocco, in piazza Grande. Viene sconsacrata dall’imperatore Giuseppe II nel 1782 che vuole eliminare le congregazioni che non sono in grado di autogestirsi e allontana da Trieste i Gesuiti. La chiesetta viene convertita in abitazione privata e venduta nel 1785 al barone Francesco de Zanchi che modifica gli interni e la facciata.
Nel 1871 passa in eredità a Regina Abriani e quindi a Margherita Nugent Laval che come detto nel 1951 la cede al Comune con un atto di donazione congiuntamente all’edificio adiacente, il palazzetto Leo dove dal 2001 il Comune ha sistemato il Museo d’arte orientale della città. Anche in quel caso infatti si trattò di un uso vincolato e la condizione era che il palazzetto «fosse integralmente adibito a scopi di educazione e istruzione in funzione del Civico museo di storia e arte di Trieste». Il 27 giugno 1951 la contessa Margherita Nugent Laval al tempo residente a Firenze andò dal notaio e dichiarandosi negli atti «agiata» riferirè di essere in possesso dei due edifici, che intendeva donare, per una lunga vicenda ereditaria che risaliva alla famiglia patrizia dei Leo, una delle tredici casade fondatrici di Trieste.
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