Trieste, ressa al pronto soccorso tra proteste e lunghe attese

Sguardi nel vuoto, nervi tesi e dormite sulle barelle. Sono solo alcune sfumature del dipinto ora annoiato, ora rassegnato, che ritrae i pazienti accolti al pronto soccorso dell’ospedale di Cattinara. Persone a cui viene assegnato un codice bianco o uno verde, quelle che hanno i codici giallo o rosso (i casi più gravi) non vengono ovviamente fatte attendere, devono essere subito visitate e curate.
Nel primo caso (bianco) il paziente non necessita di cure urgenti. Nel secondo, invece, non è più preoccupante ma non a rischio. Accade, così, che nei corridoi del terzo piano dell’edificio di strada di Fiume, si attendano tempi eterni prima di essere sottoposti agli accertamenti adeguati, alle eventuali terapie ed essere, infine, dimessi. Il 19 dicembre dello scorso anno, un ex consigliere comunale del Pdl denunciò di essere stato trattenuto al pronto soccorso di Cattinara «dalle nove del mattino alle due della notte a causa di una contrattura cervicale». A inizio gennaio, è seguita una protesta dello stesso paziente che, proprio davanti all’edificio, domandò le dimissioni del direttore sanitario Luca Mascaretti. La risposta all’ex consigliere arriva dalla direzione degli ospedali: «Secondo i verbali, durante quelle ore il paziente è stato chiamato due volte dai medici, ma si è assentato in entrambe le occasioni». Sempre all’alba del nuovo anno, un’altra utente alimenta la bufera lamentando di aver passato un’intera notte al pronto soccorso, in attesa che l’ortopedico – in servizio solo al mattino – le diagnosticasse una contrattura alla spalla. Prima della dimissione, per la paziente segue un’altra odissea che dura l’intera giornata e la notte successiva nella trincea del terzo piano dell’ospedale. Da allora, passa un mese carico di polemiche.
Su Facebook compaiono vignette satiriche in dialetto triestino che ironizzano sul calvario che attende i ricoverati. La presidente della Regione, Debora Serracchiani e l'assessore alla Salute, Maria Sandra Telesca, visitano a sorpresa l’ospedale cercando di stemperare gli animi. «Sul pronto soccorso – afferma la Telesca – il nostro impegno è massimo, in una logica di riorganizzazione della rete dell'emergenza che consenta di rispondere sempre meglio alle esigenze di assistenza dei cittadini».
Dopo tutto questo tam-tam babelico, viene da domandarsi: qual è il film di una mattinata nella pancia dell’ospedale di strada di Fiume? Sono le nove di uno dei primissimi giorni di febbraio. Trieste si è svegliata sotto un cielo inglese e un mare di nubi basse e gonfie. Cade una pioggerellina fitta e la bora soffia rabbiosa. Il pronto soccorso di Cattinara ospita poco più di una decina di persone, tutte con gli sguardi fissi sugli ambulatori, aspettando di essere ricevuti o attendendo l’uscita dalla porta di un familiare. Di tanto in tanto, le rotelle di qualche barella cigolano, poiché alcuni anziani vengono trasportati nella sala di radiologia. Appena spenti quei rumori, l’atrio riaffiora nel silenzio. Un’ora più tardi, il pronto soccorso comincia ad affollarsi e inizia il viavai.
Medici e infermieri entrano ed escono dagli ambulatori, fermandosi a parlare con i pazienti che invocano il proprio turno. La risposta del personale è sempre la medesima: «Vi preghiamo di avere pazienza, perché ci sono casi più gravi». I sibili delle barelle si fanno più acuti e ormai ne sono rimaste pochissime “parcheggiate” all’entrata, dove le porte scorrevoli si aprono sempre più spesso e il vento entra ancor prima della gente. Nei corridoi ci sono per lo più anziani, qualche persona di mezza età e un paio di ragazzi: chi steso sulla lettiga, chi seduto e chi in piedi.
Con i primi afflussi, cominciano anche i primi malumori, ma i degenti sono tutti d’accordo nel puntare il dito contro l’Azienda sanitaria, perché asseriscono che il pronto soccorso sia carente di personale e di organizzazione. Per i medici, per gli infermieri e per gli altri operatori, invece, versano solo parole al miele, sostenendo che facciano l’impossibile per prestare servizio a tutti e nel modo migliore. Loro sono in prima linea giorno e notte.
La lancetta dei minuti fa un altro giro di orologio: sono le 11 e un quarto circa. Una signora ha accompagnato al pronto soccorso la madre di 87 anni che lamentava un dolore a un ginocchio. La vecchietta, con un casco di capelli ricci in testa e un sorriso venato di amarezza, dice che sta aspettando di accedere alla sala di radiologia da più di due ore. Vicino, un’anziana di un incarnato bianco-latte e un viso solcato da una foresta di rughe, fissa da oltre un’ora il vuoto in attesa - pur lei - di una radiografia. Passa ancora una mezz’oretta. Fuori la bora smette di soffiare, adesso ringhia. Un cartello appeso al muro vieta l’uso dei cellulari , ma, fatta eccezione per gli anziani, quasi tutti hanno un telefonino in mano, il compagno proibito nell’attesa.
Una ragazza, la cui madre è in osservazione temporanea, è china sullo smartphone da più di due ore. Non riesce a staccarsene nemmeno quando il medico le dà notizie sullo stato di salute del genitore. Intorno, c’è chi sbadiglia da ore, chi è assorto nei propri pensieri e chi, invece, dorme seduto su una sedia o disteso su una barella. E’ solo mezzogiorno.
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