Trieste, soldi spariti dallo studio: assolte le due impiegate

Sentenza di assoluzione. Non dovranno pagare neanche un centesimo dei 400mila euro “drenati” dalla cassa dello studio legale Amigoni Sampietro

TRIESTE Assolte da tutte le accuse. Non dovranno pagare neanche un centesimo dei 400mila euro “drenati” dalla cassa dello studio legale Amigoni Sampietro. Così si è conclusa la vicenda giudiziaria delle due ex impiegate dello studio, Maria Cristina Schettino e Donatella Bartolotta. Non dovranno risarcire il danno né pagare la rilevante somma misteriosamente sparita dalle casse del noto studio legale triestino.

Trieste, soldi spariti dallo studio: pagheranno le impiegate
Un'immagine generica di banconote

In questo senso si è pronunciata la seconda sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Pier Camillo Davigo. Annullando la sentenza d’Appello dell’ottobre 2015, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del difensore, l’avvocato Paolo Pacileo, e ha, di fatto, definito irrevocabile il verdetto di primo grado con cui il giudice Giorgio Nicoli aveva assolto le due donne, pur disponendo la remissione degli atti al giudice civile.

Il clamoroso ammanco era emerso nel 2008, nel momento in cui gli avvocati Luciano Sampietro, Loredana Bruseschi, Giuseppe Sbisà e Mario Rainer avevano deciso di sciogliere la loro associazione professionale e lasciare lo studio di via San Francesco.

Dopo aver fatto i conti, il “drenaggio” era emerso in tutta la sua drammaticità e costanza. Stando alle indagini coordinate dall’allora pm Raffaele Tito, attualmente alla procura di Udine, le due impiegate, secondo l’accusa, in sette anni avevano fatto evaporare la somma di quasi 400mila euro.

Le indagini sull'ammanco non avevano coinvolto solo la gestione dell'ultimo anno di attività dello studio di via San Francesco, e cioè il 2008. Al contrario sono andate a ritroso, e dall'esame dei conti e dei bilanci è emerso che il “drenaggio” era iniziato nel 2002, se non qualche mese prima.

Ammanchi nello studio, impiegate triestine assolte

Un’attenta valutazione delle poste in entrata e uscita aveva fatto emergere l'entità dei “prelievi” anno per anno: 54mila euro nel 2002, 56mila nel 2003, 65mila nel 2004. Nel 2005 si erano volatilizzati 64mila euro, nel 2006 51mila, così come nel 2007. Nei primi quattro mesi del 2008 l’ammanco era stato di quasi 18mila euro.

Poi le uscite sono venute alla luce, e con grande circospezione i finanzieri hanno iniziato l'indagine. Per capire il meccanismo ipotizzato dagli investigatori, va detto che a ogni 31 dicembre la “cassa” veniva azzerata e i conti ripartivano da zero. I prelievi di contante in banca venivano autorizzati da due dei quattro avvocati, che firmavano su richiesta delle impiegate i relativi assegni.

In primo grado, come detto, le due impiegate sono state assolte con formula piena dal giudice Giorgio Nicoli. Ma i giudici di secondo grado hanno sentenziato in maniera diversa, dichiarando il non luogo a procedere per prescrizione riguardo al reato di appropriazione indebita, ma disponendo il risarcimento: 400mila euro. Ora la Cassazione ha rivoluzionato tutto. Assolte. E senza un centesimo da pagare.

 

 

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