Trieste, una decina di famiglie apre la casa ai richiedenti asilo

TRIESTE La scelta di aprire le porte della propria abitazione ai richiedenti asilo a Trieste ha scatenato un vespaio di polemiche. «Solidarietà buonista», l’hanno definita i detrattori delle politiche di accoglienza dei rifugiati. «Perchè non aiutate prima un italiano?», è la domanda che con più frequenza ha trovato spazio sul web.
Eppure una decina di famiglie hanno immediatamente risposto all’appello lanciato nelle scorse settimane dal Comune con l’assessore Laura Famulari e dalla Prefettura di Trieste, in collaborazione con la Caritas diocesana e con l’Ics-Consorzio italiano di solidarietà, aderendo al progetto denominato “A Trieste l’ospitalità è di casa”. Alcune di queste persone hanno accettato di venire allo scoperto e di raccontare com’è maturata la loro decisione.
«È il mio modo per dare una risposta positiva – spiega Andrea Neami – alla paura generata da questi fenomeni migratori». Triestino di 42 anni, attore e insegnante di teatro, Neami non ci ha pensato troppo prima di destinare una parte della sua abitazione alla causa dei profughi: «La mia è stata una decisione che ho preso d’impulso. Ne ho parlato con mia moglie e in poco tempo abbiamo contattato l’Ics per segnalare la nostra disponibilità».
Neami assicura di non avere una posizione ideologica rispetto alla questione dei richiedenti asilo: «Non per forza devono essere tutti delle persone meravigliose, ma è un fatto che siano degli esseri umani in fuga dalla disperazione. Aprire le porte della mia casa è un modo per non limitarsi a essere uno spettatore passivo di ciò che sta accadendo. In questa maniera voglio farmi carico, nel mio piccolo, di una parte della loro sofferenza».
Le critiche a questa iniziativa sembrano non avere stupito più di tanto l’attore triestino che, con questo gesto, sente di essere coerente rispetto alla vocazione della sua città natale: «La storia di Trieste è legata indissolubilmente alle migrazioni. È un fatto che non possiamo rinnegare».
Il suo è un appartamento modesto, «caldo d’estate e freddo d’inverno», anche se sufficientemente grande: «Sono curioso e non ho paura di aprire la mia casa. Inizialmente ci saranno delle difficoltà che sicuramente riusciremo a superare. Qualcuno proverà a darmi del “buonista” o mi accuserà di essere solidale solo per i 400 euro mensili che mi verranno riconosciuti. Ma io non ho fatto alcun calcolo, anche se credo che un rimborso spese permetterà anche a chi non è benestante di fare questa esperienza umanitaria. E poi con questo progetto si riuscirà ad abbattere i costi di gestione dell’accoglienza».
«Do ut des». Marina, invece, attinge al latino per raccontare cosa l’ha spinta a fare questa scelta: «Nella mia vita sono stata molto fortunata. Ho ricevuto tanto e adesso è arrivato il momento di restituire qualcosa». Insegnante in pensione di 76 anni, Marina preferisce rimanere nell’anonimato: «Non ho bisogno di farmi pubblicità».
Il suo rapporto con l’Ics risale a quindici anni fa quando, rientrata dai Balcani martoriati dalla guerra civile, scelse di dedicarsi al volontariato, iniziando a insegnare l’italiano ai profughi della ex Jugoslavia. «Quella di aprire le porte della mia casa ai richiedenti asilo – afferma – è una scelta coerente con il mio modo di vivere e di pensare. Non ci si può limitare a parlare di fronte a certe tragedie, bisogna iniziare a fare qualcosa di concreto. Vivo da sola e nel mio piccolo posso mettere a disposizione una stanza e un bagno».
L’ex insegnante, «triestina da generazioni», sembra non tradire alcuna forma di paura o diffidenza: «Mi apro con fiducia al prossimo, soprattutto se il prossimo soffre ed è in fuga dalla disperazione. La solidarietà è un valore assoluto. Personalmente aiuto anche gli italiani e di certo non sono abituata a fare distinzioni in base all’etnia o al Paese di provenienza delle persone».
Anche rispetto al rimborso spese di 400 euro la signora Marina sembra avere le idee chiare: «La mia disponibilità l’ho data ben prima che venisse presentato questo progetto. Se sarò costretta a ricevere dei soldi – ammette con convinzione - , vorrà dire che li metterò da parte per aiutare qualche altra persona bisognosa». Un’unica questione preoccupa la signora Marina e ne spegne per un attimo il sorriso: «La prego , non mi dipinga come una Madre Teresa di Calcutta. La mia vuole essere una scelta di assoluta normalità».
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