Triestina, Samer apre uno spiraglio: «Stabilizziamo il paziente»

TRIESTE «Il calcio non è la pallanuoto e arrivare in alto è molto più difficile oltre che dispendioso a livello economico. Ma qualcosa qui a Trieste si può fare: gli imprenditori locali possono unirsi per generare una nuova società sana e solida e che riparta dal vivaio. E poi presentarla ad un soggetto che abbia maggiori capacità economiche o ad uno sponsor che possa in questo modo entrare in seconda battuta. Insomma un’operazione volta almeno a stabilizzare il paziente».
Il “paziente” in questione è la Triestina calcio ed a provare ad accendere la miccia di una nuova vita per la gloriosa Alabarda dopo le disgrazie societarie degli ultimi anni è stato l’imprenditore Enrico Samer nel corso del convegno intitolato “Trieste nel pallone: può il modello Parma riportare l’Unione nel calcio che conta?”, organizzato in una affollata cornice dell’Hotel Savoia dai giovani di 20Lab e promosso dal senatore Pd Francesco Russo, che ha introdotto il dibattito sottolineando come «sia giunta l’ora di tirare una linea e ripartire con un calcio pulito».
Un convegno andato in scena proprio nel giorno in cui è arrivata in Tribunale una nuova offerta per rilevare la Triestina da parte dell’imprenditore trevigiano Silvano Favarato, già al timone dell’Union Quinto, che questa mattina dovrebbe versare come garanzia una fidejussione da 500mila euro, ma che ha alle spalle dei trascorsi agitati ed una inibizione di 6 mesi per non aver pagato un allenatore. Dunque, come ha ricordato il moderatore del convegno, il vicedirettore de Il Piccolo Albero Bollis, «sul nuovo acquirente ci sono già forti perplessità oltre che notizie alquanto fumose».
L’assist di Samer è stato colto al volo da Sergio Marassi, presidente del Centro di Coordinamento Triestina club: «Siamo stufi di questa situazione e auspichiamo l’arrivo di una cordata triestina. Siamo anche disposti ad aspettare che si costruisca una società sana senza pretendere subito vittorie e promozioni. Ma a questo punto - ha rilanciato Marassi - visto che siamo proprietari del marchio, perché non scavalchiamo questa ipotetica proprietà in arrivo e proviamo a costruire una società nuova e solida partendo da zero?».

Il giornalista triestino Paolo Condò è partito da una metafora: «Trieste sembra un villaggio del Far West dove non c’è lo sceriffo e i banditi ne approfittano per depredare tutto quello che trovano e questo accade perché nel sistema calcio in generale c’è poca vigilanza - ha esordito -. Credo sia arrivato il momento di percorrere la strada inversa e cioè che a prendere in mano la situazione sia una cordata triestina che ci metta la faccia. Sarebbe la soluzione migliore sul fronte del marchio, dello stadio e del vivaio: ci sarebbe finalmente quella solidità societaria tanto agognata».

Marco Ferrari, vicepresidente del nuovo Parma, rinato dalle ceneri del fallimento e ripartito da zero ha illustrato il nuovo modello emiliano: «Quello che è scattato a Parma può succedere anche a Trieste - ha puntualizzato -. Siamo ripartiti mettendo insieme imprenditori e azionariato diffuso, ma soprattutto coinvolgendo l’entusiasmo di una città intera. Non è stato facile ma è possibile. L’importante è che ognuno faccia il proprio lavoro nel rispetto dei ruoli. Noi, tanto per intenderci, non sappiamo mai che formazione va in campo la domenica».
Al dibattito è intervenuto anche l’assessore comunale allo sport Edi Kraus: «Come amministrazione seguiamo con attenzione le vicende della Triestina. Non è facile ripartire da zero e creare un settore giovanile solido. L’unico modo per farlo è attraverso la collaborazione tra le diverse società calcistiche della città».
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