«Uccisa 10 anni fa a coltellate, indagine in salita»

L’esperto, il professor Fattorini, è pessimista: sarà difficile dare un nome al corpo trovatoa Basovizza in quanto non c’è alcuna denuncia e alcun elemento di comparazione

«Certo, il lavoro scientifico è stato svolto al meglio, ma l’indagine si presenta comunque difficile; non sono ottimista sulle possibilità di dare anche un nome alla ragazza e magari risalire ai suoi eventuali killer». Chi parla è Paolo Fattorini, professore associato di Medicina legale all’Università di Trieste ed esperto di analisi e comparazioni del Dna, la “mappa” genetica” che ogni uomo porta in sé come una sorta di carta d’identità non falsificabile. E il medico specializzato nei test a fini identificatori parla dello scheletro di donna trovato vicino al Bivio “ad H”, al quale un altro grande esperto locale, il dottor Fulvio Costantinides, e il radiologo Fabio Cavalli attraverso una ricostruzione virtuale hanno dato un volto.

Un volto ma non un nome, che forse resterà nel mistero per sempre. Perché, con le attuali tecniche disponibili nei laboratori italiani, ben difficilmente gli esperti potranno fornire ulteriori elementi inestigativi ai magistrati e agli organismi di polizia che svolgono le indagini. «La scelta a cui affidare ulteriori test, come quello del Dna delle ossa - premette Fattorini -, già deciso, spetta al giudice inquirente. Può rivolgersi a noi come al Ris, il reparto specializzato dei carabinieri. Finora noi di Trieste non siamo stati contattati». Chiunque si occuperà del caso, per lo specialista del Dna, dovrà affrontare molte difficoltà, così come gli inquirenti. «Oltre al lavoro svolto - spiega - bisogna tenere conto che gli elementi scientifici a volte sono inutili senza un valido spunto investigativo: in questo caso, come in altri, non riescono a fornire certezze». Il medico elenca alcuni aspetti da non sottovalutare, perché gli accertamenti scientifici presentano, nei risultati, innegabili range legati alla metodologia e alla tecnologia disponibili. Almeno in Italia, mentre a esempio l’Olanda, in questo settore, è molto avanti: lì si riesce a risalire perfino al colore di occhi e capelli. Riguardo la datazione del decesso, a esempio, stimata 10 anni fa, il range può essere di 8-12 o di 7-13 anni. Così l’altezza: stimata in 1,65 metri, potrebbe presentare una variazione di 5 centimetri. L’età al momento della morte, valutata in 25 anni, potrebbe rivelarsi anche di 35. Infine anche la ricostruzione del volto della ragazza non può dare certezze: se a livello delle ossa facciali è veritiera, così non può essere per le parti molli, dalla pienezza delle guance, ad esempio, alla conformazione delle orecchie.

«Sui test scientifici è inutile - racconta con una vena ironica Fattorini - crearsi aspettative “da telefilm” di genere, che pure io guardo per divertimento e alle quali non solo il grande pubblico sembra essersi abituato». Anche in merito alla comparazione del Dna osseo, lo specialista punta il dito su un fattore essenziale che penalizza l’indagine sulla donna del Bivio “ad H”: «Non ci sono elementi di comparazione; non ci sono consanguinei con i quali comparare alcunché». Infine, elemento banale ma che pesa come un macigno sulle indagini, non c’è alcuna denuncia di sparizione. E in molti Paesi dell’Est, dai quali si potrebbe supporre provenisse la giovane, non c’è neppure il Registro delle persone scomparse dal quale attingere nomi e dati.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo