Un conto finale da 150 milioni per le Coop

Centocinquanta milioni. Il decreto con cui il Tribunale civile ha aperto la procedura di concordato preventivo, accogliendo l’istanza dell’amministratore giudiziario Maurizio Consoli, nel suo “mare magnum” di numeri e perizie stabilisce anche e soprattutto il prezzo a tavolino dell’intera partita Coop. È il cifrone che sarebbe (il condizionale come vedremo è d’obbligo) necessario a chiudere qualsiasi conto col passato, e pure col presente, per saldare ogni debito con soci e fornitori contratto entro il commissariamento dell’ottobre scorso nonché ogni tassa e/o spesa di gestione straordinaria che si presume potrà essere accumulata da qui alla chiusura della società, in agenda indicativamente a metà 2017.
Per coprire al 100% debiti, spese e tasse, insomma, serve vendere il patrimonio delle Coop operaie materiale (immobili, personale e attrezzature) e immateriale (avviamenti d’impresa e marchio) con l’obiettivo teorico (teorico, si badi) di ricavarne appunto 150 milioni, a essere precisissimi 149 milioni e 227mila euro. È la somma dei quattro milioni e 200mila euro di spese di gestione pronosticate tra il commissariamento dell’ottobre 2014 e la liquidazione di metà 2017 (si legga sotto, ndr) più i 145 milioni e 27mila euro del «passivo concordatario», cioè l’ammontare dei debiti a prestatori, sociali e non, fornitori di servizi e merci, erario e previdenza sociale dei dipendenti, comprensivi di un fondo rischi per eventuali ritardi o saldi mancati.
Si parlava col condizionale, e ci si metteva accanto l’aggettivo teorico. Dalle carte in mano al commissario giudiziario al momento della presentazione del piano di concordato (carte scoperte per definizione, dato che le deve vedere il Tribunale) si deduce che lo stesso Consoli presume ragionevolmente di poter raccogliere dallo svincolo di poste finanziarie (come i titoli di Stato in deposito a Banca Generali per la copertura di legge del 30% del prestito sociale) e dalla liquidazione di beni e di rami d’azienda (il cartello dei colossi Nordest-Conad ha prenotato fra le altre cose 28 punti vendita per quasi 49 milioni) un “tesoretto” vicino per intanto ai 122 miloni: per l’esattezza 121 milioni e 922mila euro, il corrispondente dell’«attivo concordatario». La fredda morale statistica, quindi, è che la partita dei 150 milioni, da realizzare per chiuderla pari e patta, ha per ora una copertura percentuale prossima all’82% e una scopertura contabile di 27 milioni e “spicci”. Sulla base di questi due dati, in particolare, il commissario Consoli ha stilato i piani di rimborso già annunciati nei giorni scorsi, che prevedono la restutuzione del 100% ai creditori «con diritto di prelazione» e del 73,4% ai cosiddetti «chirografari», i creditori secondari. In prima classe, quella del 100% da rendere, rientrano gli ormai famosi 31 milioni che Banca Generali sarà chiamata a dare in quanto depositaria della fideiussione del 30% sui libretti Coop. In seconda classe, quella del 73,4%, compaiono invece i restanti 72 dei 103 milioni di prestito sociale congelati dal commissariamento d’ottobre. La miscela delle due percentuali fa quell’81,38% promesso proprio da Consoli ai soci prestatori, coi primi due terzi in arrivo in estate. La partita, dunque, è di 150 milioni. La sfida nella sfida, o meglio nella partita, è - se vogliamo - di 27. Un gap da tentare di assottigliare - perché più si assottiglia più cresce di riflesso quell’81,38% promesso ai soci - attraverso la vendita degli immobili e degli asset ancora scoperti, il cui valore periziato è sì inserito nei 122 milioni dell’«attivo concordatario», ma con stime particolarmente ribassate.
Un possibile contributo alla “causa” potrebbe peraltro venire da una causa. Consoli infatti, nel piano di condordato non quantifica, «trattandosi di poste incerte in quanto ancora controverse» ma neanche esclude «azioni di responsabilità nei confronti dei revocati organi sociali», verso i precedenti Cda presieduti da Livio Marchetti. Una mano, intanto, perché in fondo una lava l’altra, è già arrivata dallo stesso mondo delle cosiddette cooperative “rosse” associate nella LegaCoop nazionale di Bologna, di cui le stesse Coop Nordest costituiscono un pilastro. Ccfs, il Consorzio cooperativo finanziario per lo sviluppo - braccio operativo dell’universo LegaCoop, che nel 2014 aveva prestato sette milioni in due versamenti alle Operaie presiedute ancora da Marchetti per evitare il tracollo della liquidità - «pur non condividendo l’assunto sulla revocabilità delle garanzie, nell’ottica di favorire la soluzione concordataria», si accontenterà di figurare tra i chirografari poiché «ha rinunziato ad entrambi i diritti di prelazione» che aveva: «una garanzia ipotecaria su immobili» alle Torri più «una garanzia pignoratizia su quote di Folium Srl», la controllata immobiliare delle Operaie. Magari a buon mercato, insomma, ma ufficialmente si sta profilando comunque una compravendita, e non un mero passaggio di proprietà per precedente clausola contrattuale.
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