Una carriera fulminante tra j’accuse e lezioni al Cav

TRIESTE. Tredici minuti. È cominciato tutto da lì, da quei tredici minuti di discorso torrenziale ma preciso, passionale senza per questo deragliare nell’insulto, critico comunque. Quello che Debora Serracchiani, all’epoca sconosciuto segretario del Pd udinese e avvocato del lavoro di belle speranze, pronunciò il 21 marzo del 2009 a Firenze, durante un’assemblea dei circoli del partito. Il Partito Democratico, tanto per non smentirsi, era in pieno psicodramma e volavano stracci. Dario Franceschini era da poco subentrato al dimissionario Walter Veltroni, quello dell’«I care» e della deriva finto kennedyana del partito, come segretario.
Quella donna minuta ma dallo sguardo vivo, picia ma sbisighina si direbbe a Trieste, conquistò in una manciata di secondi l’attenzione di tutti. Con un intervento concreto che, in un partito nato sulle ceneri di uno dove la contestazione interna non era prevista, fece scalpore. Perchè Debora puntò dritto al cuore. A quegli apparatcik che erano sopravissuti al new deal e alla nuova denominazione, a quell’organizzazione pesante, soffocante e, soprattutto burocratica che anche il Pd si era trattenuto come “eredità”. Alla quasi incapacità di sapersi rinnovare, anche.
Raccontano le cronache dell’epoca che il famoso sopracciglio di Massimo D’Alema fosse come impazzito, i volti dei dirigenti nazionali terrei. Ma la base capì e apprezzò, e fu standing ovation. In due giorni nel paese e persino all’estero non si parlava d’altro, di quella giovane militante della periferia del paese che aveva osato sfidare la nomenklatura.
I primi a chiamarla in tv furono quelli de “L’Era glaciale” ma ormai il passo era fatto: la Serracchiani si era ritagliato un posto di spessore nazionale all’interno del Partito Democratico e del centrosinistra. In cerca di paragoni brillanti la stampa arrivò a soprannominarla «l'Amélie Poulain della politica», prendendo lo spunto dalla straordinaria protagonista del “Favoloso mondo di Amelie”, l’attrice francese Audrey Tautou, che le somiglia vagamente.
Da allora, solo successi, per quella piccola donna cui vent’anni di Friuli, dove si era trasferita con la famiglia e aveva scelto di restare a vivere, non hanno ancora risciacquato del tutto una lieve inflessione romana ma hanno indubbiamente contribuito a rafforzare un carattere già sufficientemente autonomo e deciso.
Ha fatto carriera di partito, la Serracchiani. Nel 2006 era stata eletta nel consiglio provinciale di Udine, nella lista dei Democratici di Sinistra (collegio di Udine I). Rieletta in Consiglio provinciale nel 2008 nella lista del Pd, in dicembre compie un altro salto in avanti: viene nominata segretaria del Partito Democratico di Udine. È in questa veste che va a Firenze e inizia la sua vertiginosa ascensione. È un’emergente, la Debora, e il centrosinistra, finita malamente la parentesi Illy, ha un disperato bisogno di volti nuovi su cui puntare.
La scelta sembra quasi obbligata. Può quel donnino dal grande carattere sfidare i berluscones, all’epoca ancora in grande spolvero nell’Italia-Titanic che ancora non si era schiantata sull’iceberg della crisi? La risposta è sì, assolutamente. È donna, e questo aiuta, abbastanza friulana per non irritare gli oltranzisti della “marilenghe” e allo stesso tempo sufficientemente distaccata da certi eccessi campanilisti per piacere anche a triestini e goriziani. È il 3 aprile 2009, poco più di una settimana dopo il discorso di Firenze, quando il segretario del Partito democratico Dario Franceschini annuncia la candidatura della Serracchiani alle elezioni europee del 2009 nella circoscrizione Nord-Est, una delle più complicata, vista l’intersezione di regioni che comprende.
Un azzardo? No, l’ennesimo trionfo perchè l’avvocatessa udinese, la cui sortita fiorentina ha evidentemente risvegliato l’entusiasmo di una certa parte del partito, si porta a casa la bellezza di 144.558 preferenze complessive, di cui 73.910 preferenze nel solo Friuli-Venezia Giulia, risultando quindi la persona più votata in assoluto della regione. E battendo “Papi” Berlusconi. Va a Strasburgo, ma la nuova “mission” non sembra entusiasmarla più di tanto, considerato che matura un 69% di presenze che la relegano nelle retrovie degli europarlamentari. In realtà studia la “macchina”, si informa sui progetti europei, sviluppa anche un’esperienza (impressionante la sua conoscenza in materia di logistica e trasporti) che le sarà utile, anche se all’epoca non lo sa ancora. En passant, diventa segretario regionale del Pd, e come prima cosa richiama all’ordine il gruppo del consiglio regionale, un po’ troppo “sbarazzino”, finchè Gianfranco Moretton non molla e passa al gruppo misto. Il resto è storia recente. La nuova missione “impossibile”, una campagna elettorale in cui batte il territorio palmo a palmo e si “sgancia” da Bersani in favore di Renzi, mentre i suoi detrattori non sanno fare di meglio, nei mesi della tornata, che imputarle la sua “romanità”. Ma lei non fa come il marchese del Grillo. Vince, li saluta e quasi li ringrazia. Poi riparte. Verso dove?
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