UNA LEADERSHIP DA CONQUISTARE

Alla fine il leader che non c'era, ora sembra esserci. Mercoledì a Torino Veltroni svelerà le sue intenzioni sulla candidatura a leader del partito democratico. Tutto fa pensare che alla fine accetterà di candidarsi. La scelta di Torino non è casuale né casuale l'occasione. Da tempo Veltroni gira il Paese tenendo conferenze sulla bellezza della politica e Torino è una delle capitali di quel Nord che pare poco concedere al centrosinistra. La candidatura di Veltroni è vista con favore da molti che si sentono vicini alla nuova formazione perché ritengono che egli possa dare una scossa benefica al futuro partito. Il momento non è dei migliori. La popolarità del governo è in picchiata. Ogni giorno che passa aumenta la divaricazione tra l'ala massimalista dell'Unione e quella riformista.


Ma già il solo annuncio di una sua candidatura sembra aver fatto balzare in avanti di molti punti il favore popolare per il partito democratico. Almeno così ha dichiarato Veltroni in una conferenza stampa. Magari non sarà proprio così. Ma è indubbio che Veltroni piace. Piace la sua immagine priva di spigoli. Il suo approccio mai polemico . Piace il suo giocare con registri diversi. Silenzioso di fronte ai temi spinosi della politica politicante. Eloquente sui temi che otto italiani su dieci ritengono in cuor loro siano i temi veri, la fame nel mondo, l'Africa, l'infanzia negata, ecc. Insomma la sua immagine è quella del leader che tanti italiani di centrosinistra, e non solo, si aspettano sia il leader ideale della loro parte. Un leader che unifichi e sia anche un po' pastore di anime. Un leader non di questa politica, ma dell'altra politica.


La politica che gli italiani stanno aspettando con ansia da quando la politica è di massa. La sua è dunque una decisione coraggiosa. Perchè alte sono le aspettative su di lui. E altrettanto alti i rischi della situazione politica in cui si trova il centrosinistra. Veltroni candidandosi alla direzione del partito democratico diventa il candidato premier del centrosinistra. Ma il suo futuro non è tutto nelle sue mani. Le chance di vittoria alle prossime elezioni dipendono da quello che riuscirà a fare il governo Prodi. È ovviamente interesse di Veltroni che Prodi faccia bene. Non è detto che sia nel suo interesse che Prodi duri sino al 2011. I due dovranno evidentemente cooperare. Ma, al di là delle loro intenzioni, i loro ruoli rendono complicata la cooperazione. Prodi è costretto a occuparsi dei temi controversi della politica quotidiana, le pensioni, il referendum sulla legge elettorale, i Dico e la Chiesa, gli alleati riottosi, ecc. Veltroni rischia di soggiacere alla sua immagine di leader che vola alto, ma del quale ben pochi sanno oggi quali potrebbero essere le sue decisioni sulle pensioni, sul referendum per la legge elettorale, i Dico e la Chiesa, e gli alleati riottosi. Veltroni di certo ha delle opinioni precise.


Se tuttavia evita di esprimerle, rischia di essere vittima delle scelte di altri. Più in generale volare alto per entusiasmare e scendere nell'arena è cosa difficile da fare assieme. Ma questo è quello di cui il Partito democratico, e anche il Paese, ha bisogno oggi. Andrà aiutato. Il modo migliore per aiutarlo è costringerlo a una competizione per la leadership del partito in cui si parli, certo di don Milani e dell'Africa, ma anche dei temi controversi che dividono ogni giorno questo Paese. Bisognerebbe evitare l'unanimismo. Il correre in soccorso al vincitore. Che è poi la regola di condotta più ferramente praticata dalla nostra classe politica. Magniloquente, ma poi veloce nell'evitare i pericoli di una battaglia vera in difesa delle proprie opinioni sui temi spinosi. Sarebbe bello assistere a una competizione per la leadership dura e rischiosa quanto quella a cui dovette sottoporsi Tony Blair per conquistare il suo partito.


È grazie a queste battaglie che migliora la qualità della democrazia. Che gli elettori capiscono se il loro leader ha una prospettiva alta su questa politica. Una visione che offre a tutti di comprendere la direzione di marcia e calcolare le distanze da percorrere. O invece se il loro leader si limita a parlare dell'altra politica. Quella bella in cui non occorre dividersi perché tutti sono d'accordo. Che può farci sentire a posto con i nostri valori, ma poi non ci aiuta a capire dove e con chi stiamo andando. L'antipolitica si nutre anche di queste frustrazioni.

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