UNA MAREA DI RABBIA
Sei anni e sei mesi di reclusione: è questa la condanna inflitta a Marco Ahmetovic, il rom di 22 anni che, guidando in stato d’ebbrezza, la sera fra il 22 e il 23 aprile scorso travolse e uccise col suo furgone quattro giovanissimi ragazzi di Appignano del Tronto: tutti fra i 16 e i 18 anni. Sei anni e sei mesi: che, in un Paese dove non esiste la certezza della pena, possono anche sembrare poco o niente.
Poco o niente a fronte dell’immane sofferenza di genitori che hanno visto incenerirsi, con quella dei loro figli, la propria vita. Pena leggera e irrilevante? Ennesima vergogna della giustizia italiana? Scandalo di una nazione in cui il crimine è premiato e la virtù quotidianamente conculcata? Comunque la si voglia pensare, la colpa non può essere attribuita né al giudice Marco Bartoli, che ha applicato la legge, ed anche con una certa severità, né al giovane Rom.
Mentre resta, su questi temi, e davvero assordante, il silenzio d’una politica che, da decenni, sembra specializzata nell’elusione di tutti i problemi e nell’esercizio del mero principio di autoconservazione. Ma questo è un altro discorso. Torno, invece, al giovane Rom: la cui enorme leggerezza e irresponsabilità non saranno mai troppo biasimate. Epperò, in questa storia d’orrenda follia c’è qualcosa di più: e che preoccupa molto. Qualcosa che sta nel repentino passaggio dalla realtà all’allucinazione del simbolo.
Marco Ahmetovic non è più soltanto un ragazzo che la superficialità ha trasformato in assassino. Marco Ahmetovic è diventato il catalizzatore d’un risentimento e una violenza che, sollecitata da quell’immane carneficina, esplode senza più freni e pentimenti. Attraverso di lui, giovane Rom, è tutto un popolo che finisce, senza mezzi termini, sotto processo. Il senatore della Lega Ettore Pirovano, parlando d’una mozione su Rom e romeni appena presentata al Senato, che pone la questione in termini di "massima sicurezza nazionale", non ci va per il sottile: "Questa bestia mangerà e berrà in cella, se mai ci andrà, coi nostri soldi". Ma già in mattinata, davanti al tribunale, Forza nuova aveva protestato contro le leggi per l’immigrazione. Per non dire di quella trentina di ragazzi amici delle vittime che, dopo aver minacciato il giovane appena condannato, si sono diretti al supermercato dove lavora come commessa una ragazza amica del Rom, che nella prima udienza del processo gli aveva gridato "Marco ti voglio bene", rischiando quasi il linciaggio, per ricoprirla di ogni improperio. Non è un’aria buona quella che si respira oggi in Italia. E l’impressione è che, quanto a una seria politica dell’immigrazione, si siano persi tutti i treni.
La destra xenofoba tiene il campo incontrastata e invita allo scontro di civiltà. Ma la sinistra non è esente da colpe: cosë come non lo è la Chiesa. Il politicamente corretto a tutti i costi e una blanda ideologia dell’accoglienza caritatevole, alla lunga, non hanno pagato. Nessuno che, al di là delle ideologie, si sia veramente posto il problema del Paese reale, delle sue concrete possibilità di accoglienza. E siamo solo all’inizio.
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