Una raccolta di firme per abolire “piuttosto che”

di MICHELE A. CORTELAZZO
Ieri, a Roma, in occasione della presentazione dell'ultimo volume di Valeria Della Valle e Giuseppe Patota (“Piuttosto che. Le cose da non dire, gli errori da non fare”, Sperling & Kupfer, pagg. 163, euro 15,90), è iniziata una raccolta di firme per l'abolizione di “piuttosto che” «nell'immonda accezione disgiuntiva» (secondo la definizione di Gianrico Carofiglio), cioè al posto di oppure.
Questa iniziativa fa il paio, almeno, con i pressanti appelli nella stessa direzione di Francesco Sabatini, presidente onorario dell'Accademia della Crusca, che dagli schermi di “UnoMattina in famiglia”, ha più volte incitato a non usare “piuttosto che” in questo nuovo significato emergente ormai da più di un decennio.
Alla raccolta di firme non ha partecipato il ministro dell’Istruzione e dell’Università, Francesco Profumo. La cosa non stupisce, perché su YouTube è conservata una sua intervista al Tg1, nella quale non si vergogna di dire «l'obiettivo è quello di creare professionalità per i nostri studenti, per esempio cuochi, piuttosto che idraulici, piuttosto che elettricisti».
Del resto, altre volte il ministro Profumo ha mostrato di non essere un attento utilizzatore della lingua italiana (basti pensare a quante volte usi inutilmente l'anglicismo “policies”, in contesti nei quali funzionerebbe benissimo l'italiano politiche).
Su Facebook si trova anche un’ironica risposta al ministro («farei volentieri il cuoco, o l'idraulico, o l'elettricista piuttosto che il ministro»), nella quale “piuttosto che” viene usato in funzione avversativa, secondo la consolidata semantica della nostra lingua.
Ma “piuttosto che” in senso disgiuntivo, per quanto possa essere considerato un uso immondo, è ampiamente utilizzato. Della Valle e Patota citano Michela Vittoria Brambilla, mentre in rete si trovano attestazioni della precedente ministra dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, di Lorenzo Soria in un articolo sull’«Espresso», di Gino Strada (che sono tutti, se non mi sbaglio, lombardi o piemontesi).
Ma numerosissimi sono anche gli intelletuali, ma anche i semplici parlanti, allibiti per questo uso sempre più diffuso: ancora Della Valle e Patota ricordano, oltre a Gianrico Carofiglio, Edoardo Nesi, Premio Strega 2011, Vinicio Capossela, Stefano Bartezzaghi; di mio aggiungo almeno Luca Serianni.
La storia di questo nuovo uso di “piuttosto che” l’aveva fatta, già un decennio fa, Ornella Castellani Pollidori, accademica della Crusca: ne aveva subito notato l’origine geografica (settentrionale; nordoccidentale preciso io, e per questo ho sottolineato l’origine lombardo-piemontese dei Profumo, Gelmini, Brambilla, Soria, Strada), sociale (almeno inizialmente era espressione propria di «un linguaggio certo non popolare e probabilmente venato di snobismo») e cronologica (pare che il nuovo significato di piuttosto che fosse in uso già nei primi anni Ottanta tra i giovani del ceto medio-alto torinese).
Ornella Castellani Pollidori aveva cercato anche di ricostruire il processo attraverso il quale “piuttosto che”, locuzione dal significato consolidato per secoli, è approd. ato al nuovo uso. La sua ipotesi è che alla base ci siano frasi come «Andremo a Vienna in treno o piuttosto in aereo» (con un piuttosto usato per dare maggiore plausibilità al secondo elemento della coppia disgiuntiva). Dalla riformulazione di questo costrutto e dalla sua banalizzazione (con la perdita del leggero senso di preferenza per la seconda opzione enunciata) sarebbe originato il nuovo significato disgiuntivo.
Non è facile giudicare se alla base dell’uso disgiuntivo di piuttosto che ci sia davvero questa trafila; certamente si può asserire, con il senno di poi, che una previsione della studiosa non è risultata azzeccata: «Basterà avere un po' di pazienza: anche la voga di quest'imbarazzante piuttosto che finirà prima o poi col tramontare, come accade fatalmente con la suppellettile di riuso», aveva scritto nell’ottobre del 2002. Ma nell’aprile 2013 siamo ancora a raccogliere firme per promuovere la caduta nell’oblio di questo uso.
In tutta questa storia c’è ancora un punto da affrontare. Che in rete, nei giornali, nelle chat ci siano parlanti che si oppongono al nuovo uso non stupisce. Fa parte del potere del parlante, che può innovare la propria lingua, come opporsi all’innovazione. Sarà la storia a dirci chi avrà prevalso. Ma perché i linguisti (Sabatini, Dalla Valle, Castellani Pollidori, Serianni, Patota) si oppongono a questa innovazione con tanta passione? Non sappiamo da tempo che compito dei linguisti è quello di osservare l’uso della lingua e non governarlo? Non è pacifico che la lingua evolva, portando a norma quello che prima era errore? E allora, perché i linguisti si impegnano così tanto, andando oltre il loro ruolo di attenti osservatori?
In questo caso, credo che i linguisti lottino contro il nuovo significato di piuttosto che perché riconoscono in questo uso una perdita di efficienza della lingua. Invece di migliorare la comprensibilità e la chiarezza dei nostri discorsi, questa innovazione apre nuovi spazi di ambiguità. L’uso disgiuntivo di piuttosto che viene ad affiancarsi agli usi tradizionali che sono di valore sostanzialmente opposto. Fino a vent’anni fa se un medico mi diceva di usare il farmaco A piuttosto che il farmaco B, non avevo dubbi: mi diceva che il farmaco A era più consigliabile del farmaco B. Oggi mi viene il dubbio se intende dire questo, o se, invece, i due farmaci sono equivalenti. La lingua, almeno in questo piccolo campicello, diventa più ambigua di quanto lo fosse prima.
È lo stesso motivo per cui Giovanni Acerboni, formatore e consulente nell’ambito della scrittura professionale, propone da tempo di abolire ovvero dalla lingua amministrativa e dalle norme: non sempre è facile e univoco capire se ovvero viene utilizzato con il valore di “cioè” o con quello di “oppure” (anche in questo caso i due valori sono quasi antitetici).
Insomma, in vari campi dell’italiano, circoscritti, ma non per questo irrilevanti, c’è chi cerca di dare maggiore efficienza e funzionalità alla nostra lingua: riformando usi ampiamente radicati (come nel caso di ovvero) od opponendosi a innovazioni inopportune (come nel caso di piuttosto che).
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