Una strada a “Romano il manzin”

SAN GIORGIO DI NOGARO. La straordinaria figura di Gelindo Citossi, conosciuto come “Romano il manzin”, fa ancora discutere. Eroe o “esecutore spietato”? Per il Coordinamento antifascista friulano decisamente un eroe.
Lo ha ribadito in occasione della celebrazione del centenario della sua nascita, il 7 ottobre 1913, in occasione della quale è stato ricordato questo leggendario protagonista, assieme agli altrettanto leggendari “Diavoli rossi” di cui era il comandante durante la Guerra di liberazione.
La commemorazione è stata anche l'occasione per lanciare una sfida al sindaco di San Giorgio di Nogaro, Pietro Del Frate, per dedicare una via o una piazza a questo «eroico sangiorgino che tanto ha fatto per la Liberazione» che non ha avuto ancora nessun riconoscimento nel suo paese natale. Gelindo Citossi, nasce in una famiglia contadina di Zellina (frazione di San Giorgio), sesto di nove fratelli; era un ragazzo irrequieto, scappava spesso di casa e stava settimane senza andare a scuola. Scappava anche dal Seminario dove la famiglia lo aveva messo nel tentativo di “domarlo”.
Lo definiscono ingenuo e idealista, testardo e determinato, uno che voleva sempre avere ragione, ma anche uno che non amava le ingiustizie. Era un bel ragazzo però sempre di buon umore e sempre pronto allo scherzo. Mentre la famiglia, tra alti e bassi, continua a coltivare i campi (Gelindo si occupa della parte amministrativa), iniziano i conflitti del fascismo che gli portano via due fratelli, uno disperso in Russia e uno morto in combattimento in Grecia. Gelindo, che simpatizza per la sinistra, ma ha una “fede” anarchica, fa il suo ingresso nella Resistenza con dei gruppo dislocati in Carnia, e poi in pianura con i Gap, entrando a far parte dell'Intendenza Montes. Benché privo del braccio destro (di qui il soprannomen “manzin”)l è un uomo forte, per cui viene spedito nel battaglione di “Franz” che lo incarica di un'azione a Latisana: disarmare una sentinella nella caserma della Guardia di finanza.
Vuole e riesce a farlo da solo e con spirito indomito, disarma la sentinella, blocca i militari di guardia, si impossessa delle armi e se ne va. Questa è la sua prima vera azione. Tante altre ne seguiranno assieme ai suoi “Diavoli rossi” protagonisti, ma la più leggendaria resta quella del temerario assalto alle carceri di Udine per liberare i patrioti condannati a morte o alla deportazione nei lager tedeschi. La preparazione per del colpo è dettagliata, ognuno dei Diavoli, aveva un proprio compito. Nei pressi di Remanzacco, all'incrocio con la statale per Udine, il camion con i partigiani a bordo si ferma incocciando una colonna tedesca che procedeva nella stessa direzione. Romano, riflette sul da farsi, e improvvisa non potendo attaccare la colonna pensa: perché non accodarsi.
Fa vestire gli uomini da tedeschi e segue il nemico. Giungono a Udine che è quasi buio e mentre i tedeschi entrano alla caserma “Spaccamela” loro si dirigono in via Spalato. Alle 18.30 sono davanti al'ingresso delle carceri, dal camion scende un partigiano vestito da capitano nazista, bussa al portone affermando che ha dei “banditi” da consegnare: uno è Romano e l'altro è Ape.
Quelli aprono e i Diavoli con il Mancino entrano, si fanno consegnare le chiavi e liberano un'ottantina di prigionieri. poi si danno ad una fuga avventurosa irta di pericoli, ma ce la fanno.
Francesca Artico
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