Ungaretti e Heinse, poeti al fronte

Il 23 dicembre di cento anni fa a San Martino, nemici, composero due liriche
Di Stefano Bizzi

SAGRADO. Monte di guerra, ma anche monte di poeti, il San Michele. La notte del 23 dicembre di cento anni fa, Giuseppe Ungaretti scrisse a “Cima Quattro” una delle sue liriche più famose. Nelle stesse ore, sull’altro lato del fronte, in una delle tante trincee il soldato austroungarico Josef Klain partorì, con lo pseudonimo di Gustav Heinse, versi simili a quelli di “Veglia”. Il destino li aveva messi uno di fronte all’altro creando una sorte di tenzone letteraria. A dispetto delle diverse divise, le sensibilità erano le stesse. Entrambi furono ispirati dalla luce della luna che in quell’antivigilia di Natale schiariva le tenebre del Carso e rendeva visibile l’orrore del campo di battaglia. L’angoscia del momento li portò a conclusioni, se non identiche, per lo meno analoghe. Si aggrappavano in ogni modo alla vita, per sfuggire alla morte. In quel contesto fatto di orrore non è difficile immaginare Ungaretti e Klain-Heinse schiacciati nel fondo di una buca con le loro fragilità e i loro pensieri di morte di pace. L’uno, Ungaretti, “buttato vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca/ digrignata/ volta al plenilunio”, l’altro (Klein Heinse) a “risvegliarsi in una fossa, in un cratere/ nell’orrido splendore/ di luci infernali, scatenate del nemico”. Uno di qua e uno di là: forse si sono pure puntati il fucile contro, senza però premere il grilletto. Sembra la sceneggiatura di un film, ma la realtà è capace di scrivere storie più grandi di ogni fantasia.

A mettere insieme i pezzi del curioso episodio avvenuto esattamente cento anni fa, è stato Gianfranco Simonit. Anima del Gruppo speleologico carsico di San Martino, si è accorto della coincidenza delle date durante le ricerche per la realizzazione del libretto dedicato alla mostra dell’Albero storto. Nel 2013 Paola Maria Filippi aveva tradotto e pubblicato per la prima volta in Italia le poesie di Heinse. La raccolta “Il monte in fiamme-Ai morti del San Michele e di San Martino del Carso 1915/1916” colpì subito Simonit. «Ho trovato una piacevole coincidenza che credo abbia dell'incredibile – osserva -. Quel 23 dicembre del 1915 nella trincea di fronte a quella di Ungaretti si trovava un altro poeta che scriveva nello stesso momento una sua poesia. I titoli di Heinse indicano solitamente i luoghi e la data da dove scriveva. Quello che, curiosamente, usava fare Ungaretti alla fine delle sue poesie, indicando luogo e data della loro scr ittura». L’una comincia dove idealmente termina l’altra. Classe 1896, Gustav Heinse nacque a Herceg Novi (oggi in Montenegro) e fu ufficiale del 43° Reggimento di fanteria Rupprecht von Bayern. Arrivato sul fronte dell'Isonzo nel 1915, spediva le sue poesie ai redattori dei giornali Temeswarer Zeitung, Orawitzaer Zeitung e Weisskirchner Zeitung. Rispetto a Ungaretti, aveva un rapporto profondamente diverso con la guerra. Non nascose mai le sue ideologie pacifiste, l'angoscia di quanto stava vivendo e la consapevolezza della totale inutilità di ciò che stava facendo e a cui era obbligato. Nelle ultime righe scrisse: Non è nulla!/Tutto è grigio,/ solo il rumore del vento, simula/ un razzo che sale…’/ ‘La morte che ci dà la caccia’”. Il fante italiano concluse con qualcosa di simile ma opposto, il celebre e universale “Non sono mai stato/ tanto/ attaccato alla vita”.

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