Università di Trieste: ok la didattica ma la ricerca arranca

Verona, Trento, e Milano col Politecnico, si contendono il posto del re fra le università statali giudicate nel loro complesso qualitativo secondo la classifica stilata dal “Sole 24 Ore”, che mette in lista 61 atenei statali, fra i quali Trieste si piazza nella nobile posizione della casella 26, mentre Udine conquista la 15.a. Per la sola qualità della didattica, i due atenei regionali si appaiano e vengono issati in 10.a posizione, dunque con un lodevolissimo giudizio. Ma per la ricerca Trieste sprofonda al 39.o scalino lasciando Udine al 19.o. Su 61, non è certo un posto pessimo. Ma nemmeno magnifico.
Se il piazzamento in questa (ennesima) classifica è dunque molto buono, e ha dei picchi ancora migliori quando il “Sole” guarda alla capacità di attrarre studenti (siamo alla 14.a casella fra le 15 migliori università d’Italia), alla percentuale di crediti ottenuti all’estero (9.o posto addirittura), alla “non fuga” degli iscritti dopo il primo anno (8.a posizione) è proprio quel voto bassino alla ricerca universitaria, nella città che di scienza e ricerca passa per essere un alto concentrato, che frena gli entusiasmi.

Per il rettore, Maurizio Fermeglia, si tratta però non solo di una “zavorra antica” (ricercatori che effettivamente non ricercano niente e che sono già nel mirino) ma anche di un vero e proprio equivoco nell’elaborazione dei dati.
«Per espressa dichiarazione - esclama Fermeglia - questi elementi sono ricavati dalle valutazioni fatte dall’agenzia ministeriale Anvur che sono già ampiamenti noti, dunque intanto non c’è nulla di nuovo. Ma sarebbe il meno. L’Anvur, su richiesta del ministero dell’Università, aveva adottato un criterio di indagine che non era basato sulla quantità di ricerca fatta, e nemmeno sulla qualità, ma tendeva esclusivamente a stanare le università dove non tutti la ricerca la fanno. Ogni ricercatore e docente - prosegue il rettore - poteva presentare solo tre lavori pubblicati, anche se ne aveva fatti 70, e il massimo punteggio che avrebbe potuto ottenere era “1”. Dunque con tre ottime pubblicazioni il suo massimo non poteva oltrepassare il voto “3”. Ogni docente senza pubblicazioni prendeva invece “meno 1”, o “meno 1,5”. La somma algebrica di ateneo, in caso di più “fannulloni” che magari hanno fatto più didattica che ricerca, ha portato matematicamente a una peggiore classifica generale. Ma chi ha tenuto in conto gli eccellenti risultati di tanti dei nostri docenti? Non l’Anvur. E, peggio ancora, l’agenzia aveva valutato i risultati dal 2006 al 2010. Dunque quel che oggi troviamo in classifica è una foto vecchia di quasi 10 anni. Sono basito, è squalificante... Ormai ci sono 10 “ranking” diversi sulle università nel mondo, e io me li guardo tutti, ma credo soprattutto alla classifica indipendente finanziata dalla Ue, che ci mette al primo posto in Italia. Ero a Bruxelles l’altro giorno, i direttori di area mi hanno confermato la valutazione».
Non per questo la quantità “patologica” (come la definisce il rettore) di docenti in vario grado che a Trieste s’erano abituati a non cercare niente di nuovo viene protetta dalla critica alle classifiche. «Ricerca e didattica per chi è nell’università sono entrambe obbligatorie - ammonisce Fermeglia -, altrimenti che cosa insegniamo agli studenti? Solo cose vecchie?».
Per invogliare, i fondi della ricerca di ateneo sono stati (solo su progetto) distribuiti anche a settori che meno hanno la possibilità di cercare finanziamenti esterni. I risultati saranno valutati. E se l’esito sarà stato negativo? «Non avranno più i soldi, resteranno zavorra». Una leva non certo potente. Anche se essere infilati in questa categoria dal “comandante in capo” non è certo un esito soddisfacente di carriera. «L’obiettivo - conclude il rettore - è arrivare a un livello “fisiologico” di inattivi -, invece abbiamo da un lato una quantità notevole di ricerca eccellente, e dall’altro questa quantità “patologica” di inattività».
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