Università senza bar, studenti in rivolta

Disposti a scendere in piazza per protestare, per un caffè o una bibita devono recarsi fino in piazza Cavour
Di Stefano Bizzi

Dalla chiusura del bar universitario di via Alviano è passato più di un mese, ma all’orizzonte non sembrano esserci soluzioni. Per le loro pause, gli studenti i docenti e il personale amministrativo dell’ateneo dovranno continuare ad utilizzare i distributori automatici e dovranno farlo a tempo indeterminato. Per gustare un espresso dovranno continuare ad andare - come minimo - fino a piazza Cavour. Del fu bar dell’ex seminario oggi non rimane praticamente più nulla. Risolto il contratto, il gestore ha smantellato tutto, pavimenti compresi. Martedì rimaneva soltanto il bancone, ma, con ogni probabilità, anche quello oggi sarà portato via. I malumori della popolazione di via Alviano cominciano a venire a galla. Quella che doveva essere una breve parentesi inizia ad apparire come una soluzione definitiva. Non è un caso che gli universitari abbiano già manifestato l’intenzione di scendere in piazza. Per il momento la protesta è stata congelata, ma la questione rimane all’ordine del giorno e non è certo chiusa. Il problema non è di facile soluzione. Il vecchio conduttore del locale era, infatti, anche il proprietario delle attrezzature: sia di quelle fisse (pavimento, pedana, bancone e vetrine), sia di quelle mobili (forni, frigoriferi, piastre, congelatori, macchina per il caffè, tavoli e sedie) e nel momento in cui se ne è andato, le ha portate via con sé.

Il dettaglio non è secondario perché obbliga chiunque volesse subentrare nel servizio a riallestire il bar e questo ha un costo impossibile da abbattere nel giro di un anno o poco più. La questione del bar è infatti legata a doppio filo con quella della mensa. Con l’apertura della mensa tutto sarà gestito dall’Agenzia regionale per il diritto agli studi superiori e, dunque, a meno che l’area venga riallestita in via preliminare dall’Ardiss, chiunque dovesse prendere la gestione del bar, non solo rischierebbe di non avere margini di guadagno, rischierebbe addirittura di andare in perdita. Il 27 ottobre, nel corso del Consiglio d’amministrazione dell’Università di Trieste veniva preso atto dello stato di avanzamento del progetto della mensa e veniva evidenziato che, a causa del protrarsi dei tempi di realizzazione, il nuovo servizio di ristorazione “potrà entrare in funzione solo in vista dell’anno accademico 2017/2018”, ma questo non muove di una virgola il problema.

A ingarbugliare una matassa di per sé già ingarbugliata è il numero di attori in gioco. Perché titolare della concessione relativa al bar di via Alviano è il Circolo ricreativo universitario di Trieste e non l’Università. Fino ad ora, però, l’associazione di promozione sociale ha affidato la gestione a terzi. L’ateneo ha chiesto quindi al Crut la disponibilità ad assumere la gestione temporanea e diretta del locale, ma il Circolo ha risposto picche. Pur mettendo a disposizione la propria capacità gestionale e organizzativa, il Crut ha ritenuto “di non avere i mezzi sociali per affrontare il progetto”. In più il Circolo ha sottolineato in maniera netta che non sussistono le condizioni minime per rientrare dei costi diretti della gestione e che ci vorrebbe quindi un sostegno economico esterno. Nel verbale della seduta del 27 ottobre si legge in premessa che “per i dodici mesi stimati” della durata del servizio di gestione, il 5 ottobre l’ateneo ha chiesto al Consorzio per lo sviluppo del Polo universitario di Gorizia un contributo “pari a circa 60-70 mila euro”. A fine novembre il presidente del Consorzio, Emilio Sgarlata, ha però scritto alla direttrice generale dell’Università di Trieste Maria Pia Turinetti e ha messo in evidenza due cose. Prima: che la Camera di Commercio, attraverso il Consorzio, è disponibile a intervenire fino a un massimo di 20mila euro “per la fornitura di attrezzature funzionali all’attivazione del servizio”; seconda: che lo stesso Consorzio è disponibile a un intervento diretto “per sostenere la fase di start-up dell'esercizio bar-mensa”, ma per un importo massimo di 10mila euro. Questo denaro, peraltro, sarebbe stato già assegnato in occasione della seduta del Consiglio d’amministrazione del Consorzio di inizio ottobre, ma la cifra rimane comunque ben lontana dai “circa 60-70 mila euro” complessivi chiesti dal Cda di ateneo.

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