Uno scempio ambientale a punta Barene

In attesa dei pluriannunciati lavori di bonifica lungo la Quarantia regnano sporcizia e desolazione
Di Roberto Covaz

STARANZANO. “Unione casoni Quarantia, amici della natura” si legge nella consumata tabella in legno ai piedi dell’argine di punta Barene. Salita la scaletta e raggiunta la sommità della barriera lo scenario che si presenta davanti agli occhi svela un’altra storia. Quello che resta dei venti casoni demoliti è un cumulo di macerie, pilastrini mozzati, pontili marciti e pericolanti. Il mare fa il resto e nelle ore di bassa marea la poltiglia nauseabonda che si accumula nell’ultimo tratto del canale Quarantia rende il quadro ancora più sconvolgente. Sull’altra sponda dell’antica foce dell’Isonzo si allunga il parco della Cona; sulla sponda sinistra invece è di scena la vergogna.

La politica, a tutti i livelli, è abituata a coniugare i verbi al futuro anteriore. Sì, lo sanno anche le anatre che il Comune attende che i proprietari demoliscano gli ultimi cinque casoni, che solo dopo si potrà procedere alla bonifica del sito e alla costruzione dei posti barca, che i soldi ci sono, che i lavori dovevano cominciare entro quest’anno, che la Quarantia sarà il fiore all’occhiello del litorale monfalconese.

E intanto? È accettabile lasciare in simili condizioni un luogo a suo modo importante dal punto di vista storico e perché no emozionale?

Ci sono voluti trent’anni tra corsi e ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato prima che i casoni fossero demoliti. E ora che lo Stato ha vinto tollera una situazione che ha oltrepassato i limiti della vergogna. Pur senza i casoni, punta Barene anche in queste belle giornate invernali è méta di molti passeggiatori. Ci si abitua a tutto ma fa male arrendersi all’evidenza della resa incondizionata di una comunità al disfacimento di quanto le sta attorno. Probabilmente si pensa, a torto, che nessuno vada a curiosare fin laggiù e possa scoprire una faccia impresentabile della realtà locale. Basta osservare le tipologie del materiale abbandonato per rendersi conto che con un po’ di buona volontà la situazione sarebbe accettabile, sempre in attesa dei pluriannunciati lavori di sistemazione. C’è legname in abbondanza che potrebbe essere recuperato; ci sono tondini di acciaio arrugginiti: trappole letali per uomini e animali; ci sono sedie, lavelli, natanti, nasse e altre aggeggi umani abbandonati: costava tanto ai legittimi proprietari portarli in discarica? Tra l’altro non c’è alcun cartello che indica che il sito è in qualche modo un cantiere; non ci sono nemmeno le fettuccine biancorosse che solitamente indicano un potenziale pericolo. Non c’è nulla a punta Barene, solo desolazione nell’assistere all’ennesima storia di abbandono del territorio.

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