Un’ovazione da “rockstar” per la lezione su Caporetto

Lo storico Barbero raccoglie applausi e registra il “tutto esaurito” al teatro Verdi «Nella disfatta c’erano i prodromi dell’avvento della dittatura fascista»
Lasorte Trieste 15/03/15 - Teatro Verdi, Lezione di Storia
Lasorte Trieste 15/03/15 - Teatro Verdi, Lezione di Storia

Il giornalista Pietro Spirito che, assieme all’assessore comunale Antonella Grim, ha presentato l’incontro l’ha definitita un’ovazione «da rockstar». È quella che ha ricevuto ieri a Trieste Alessandro Barbero, uno dei pochi storici a essere anche un “personaggio televisivo” per le sue numerose apparizioni nelle trasmissioni di Piero Angela e di Massimo Bernardini. Con la conferenza su Caporetto ha riempito completamente il Teatro Verdi. D’altra parte le Lezioni di storia, forse anche perché gratuite, ultimamente sembrano riuscire a fare meglio della lirica, dei musical e della prosa.

Su Caporetto, Barbero ha demolito vecchi stereotipi, forse non è riuscito a far chiaramente capire i perché della disfatta, di sicuro ha svelato che in essa vi sono i prodromi dell’avvento in Italia della dittatura fascista.

Dopo le undici spallate ricevute sull’Isonzo, gli austriaci reputano che l’unico modo per non far cadere Trieste in mano italiana sia chiedere aiuto ai tedeschi che mandano sette divisioni sul fronte italiano. L’Imperatore Carlo scrive però al Kaiser: «Per il mio esercito è fondamentale combattere questa guerra da solo, bruciamo dalla voglia di punire traditori italiani». Quando i generali austriaci sanno della lettera si mettono le mani nei capelli. Con le divisioni tedesche la vittoria austriaca scaturita da Caporetto sarà schiacciante. «Abbiamo perso perché i nostri soldati si sono ritirati senza combattere» scriverà Cadorna in un bollettino che il governo ferma troppo tardi perché arriverà sui giornali stranieri.

«Falso - ha commentato Barbero - ma allora come è potuta succedere una disfatta simile?». Non è stata una sorpresa perché i comandi italiani sapevano tutto con grande anticipo. Nelle settimane precedenti ogni giorno disertori dell’esercito austro-ungarico passavano nelle file italiane: erano perlopiù ufficiali cechi, romeni, serbi, polacchi e riferivano i dettagli della prossima avanzata. Il Comando italiano fa addirittura a Udine una conferenza stampa per spiegare che sono state adottate misure difensive imponenti. Il generale Cappello afferma che completerà con i tedeschi la sua collezione di prigionieri. Il generale Badoglio annuncia: niente paura ragazzi, gliele daremo secche. Ho tanti cannoni da fracassarli tutti. Il colonnello Boccaccio è soprannominato Attila: alto, bello e biondo. Dice: il nemico ci trova preparati. Marinetti, fondatore del futurismo, a pranzo con ufficiali, paragona le bombarde a membri virili che simboleggiano il genio improvvisatore italiano. Retorica e improvvisazione dunque, mentre dall’altra parte i tedeschi pianificano da mesi. Sarà un’ecatombe: “solo” 70mila morti e feriti, ma 260mila prigionieri dei quali la maggior parte morirà, per fame, tifo, febbre spagnola, 350mila sbandati con un terzo dell’esercito “sparito”, un milione di profughi, il nemico che penetra in territorio italiano per 150 chilometri».

«Alla fine della guerra - ha detto Barbero - l’Italia si raddrizzerà, il Paese tornerà unito, sembrerà uscito indenne da questo disastro. In realtà mai come stavolta si era percepita la fragilità di un Paese disunito, a Caporetto i nostri ufficiali avevano maturato un’ammirazione sfrenata per quelli tedeschi, alcuni dei quali diverranno feldmarescialli di Hitler. È un’altra cosa che lascerà il segno. Il colonnello Angelo Gatti del comando di Cadorna racconterà che alla conferenza di Rapallo l’Italia deve chiedere aiuto agli alleati. Francesi e inglesi le ordinano di cacciare Cadorna. Il primo ministro Orlando deve obbedire: “Sentiva di essere trattato - riferirà Gatti - come un servitore”».

«Mancano cinque anni alla marcia su Roma - ha ricalcato Barbero - ma questa è l’idea che i militari hanno della nostra classe politica. L’umore degli sbandati di Caporetto è pessimo: “Speriamo che i tedeschi arrivino a Milano e a Roma” dicono. E un prigioniero, internato a Mauthausen scrive: “Siamo popolo che ha bisogno di cinquant’anni di bastone”. Così Il pittore Ottone Rosai, futuro squadrista: “I nostri soldati sono sempre ammalati. Vanno convinti a combattere con bastone e olio di ricino”».

Parole, ha sottolineato Barbero, «che mi hanno fatto rabbrividire ancor di più perché dette nel 1917. Dopo la guerra l’Italia sarà l’unico Paese vincitore a non sentirsi come la Francia e l’Inghilterra, ma piuttosto come la Germania e l’Ungheria. Si ritroverà con fame, disoccupazione, minaccia di rivoluzione, bastone e olio di ricino. E in tutto questo l’eredità di Caporetto si farà sentire».

Silvio Maranzana

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