Uranio, causa di servizio negata, ma il carabiniere vince al Tar

GORIZIA. Un carabiniere reduce dalle missioni nei Balcani e in Iraq ammalato di tumore alla tiroide ha chiesto che gli venisse riconosciuta la causa di servizio, ma la sua domanda è stata rigettata perché, tra le altre cose, secondo l’organo di valutazione la predisposizione a quel tipo di neoplasia riguarda le donne e non il genere maschile. Ha un che di surreale la vicenda di un ufficiale 45enne (uomo) in forza al 13° Reggimento Carabinieri Fvg di via Trieste che, per fare valere le proprie ragioni, ha dovuto rivolgersi al Tar. Alla fine il Tribunale amministrativo regionale ha accolto il suo ricorso considerando illogiche e contraddittorie le argomentazioni che avevano portato a rigettare la richiesta della causa di servizio avanzata da parte del militare.
L’ufficiale, che è ancora in forza al 13°, ma che a causa della malattia ha visto cambiare la sua attività all’interno dell’Arma, un paio d’anni fa ha scoperto il tumore per caso e ha cominciato a curarsi, nel frattempo, essendo stato impiegato in teatri operativi dove l’impiego di munizioni all’uranio impoverito è stato ampiamente documentato, ha chiesto che la sua malattia fosse riconducibile a cause professionali. La risposta negativa del Ministero della Difesa e del Comando generale dell’Arma è arrivata però con una motivazione ritenuta inaccettabile e questo ha portato all’impugnazione davanti al Tar del Fvg.
L’ufficiale ha partecipato a numerose missioni all’estero. Tra le altre, ha operato nel 1999 al confine tra il Kosovo e l’Albania e tra il 2004 e il 2005, tra il 2015 e il 2016 e tra il 2017 e il 2018 in Iraq. Oltre a sostenere inspiegabilmente che la patologia riguarda il genere femminile, l’amministrazione pubblica, nel negare la causa di servizio, ha omesso di considerare anche la missione nei Balcani.
In merito al primo punto si legge nella sentenza pubblicata mercoledì a firma del presidente Oria Settesoldi: «Ferma l’alta discrezionalità che connota i giudizi tecnici espressi dal Comitato di Verifica, questa non può spingersi fino a legittimare motivazioni del tutto apparenti, apodittiche e stereotipate, prive di un comprensibile iter logico di qualsiasi percepibile legame con la fattispecie concreta».
In merito al secondo punto la difesa erariale ha rilevato che la mancata menzione del servizio al confine tra Kosovo e Albania del 1999 deve essere considerato «omissione meramente formale». Così non la pensa il legale del carabiniere. «In quei teatri - ricorda l’avvocato Emanuela Beraldi - sono state utilizzate munizioni all’uranio impoverito a cui i militari venivano esposti senza un equipaggiamento adeguato». E infatti: la correlazione tra uranio impoverito e patologie tumorali sarebbe provata da numerosi studi. Il giudizio negativo del Comitato sarebbe in contraddizione con il giudizio della Commissione medica ospedaliera e con l’elaborato peritale di parte.
Secondo quest’ultimo, in particolare, non si riscontrano in capo all’ufficiale né fattori di rischio di natura genetica, né carenza di iodio. Pertanto la neoplasia potrebbe essere riconducibile al rischio specifico costituito dalle radiazioni ionizzanti emesse dall’uranio impoverito. «Il Tribunale - si legge nella sentenza - ritiene che gli specifici precedenti di servizio in aera di guerra, ove maggiore appare il rischio di esposizione a sostanze potenzialmente cancerogene (specie in contesti quali il Kosovo e l’Iraq) siano circostanze idonee ad integrare quantomeno un principio di prova del nesso eziologico, che, senza vincolare l’esito del giudizio tecnico del Comitato, avrebbe dovuto essere puntualmente considerato nella motivazione dei pareri».
Se da un lato la sentenza ha accolto i ricorsi, dall’altro ha rinviato l’esame delle domande tese ad accertare la dipendenza da causa di servizio della patologia e la conseguente corresponsione di un indennizzo. «Il Tar ha argomentato bene. È vero che gli organi tecnici hanno una discrezionalità elevata, ma è limitata dalla ragionevolezza. Questa sentenza è interessante perché potrebbe fare da apripista per altre vicende simili. Non sempre questi ricorsi vengono accolti, ma il caso presentava una situazione palesemente illegittima e illogica», conclude l’avvocato Beraldi, legale dell’ufficiale.
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