Vendevano smart drugs: condannati a 4 anni

Quattro anni e 20 giorni a testa. È questa la condanna che il giudice Laura Barresi ha inflitto (in abbreviato) ai fratelli Manuel e Stefano Abbondanza, il primo di 37 e il secondo di 30 anni, già titolari del negozio etnico «Brian Ticket» di via Lazzaretto Vecchio. In pratica, secondo le indagini degli agenti della polizia locale coordinati dal pm Maddalena Chergia, hanno spacciato centinaia di confezioni di smart drugs, le cosiddette droghe furbe, in particolare i profumatori ambientali che contengono cannaboidi vietati per legge.
L'indagine è scattata dopo la segnalazione di un cittadino che aveva denunciato il ricovero di un suo familiare che aveva acquistato e consumato dei prodotti venduti appunto come profumatori ambientali. Si tratta di sostanze di sintesi di nuova concezione molecolare, il cui principio attivo è quello degli stupefacenti prodotti in laboratorio, simili alla canapa indiana che hanno gli stessi effetti delle droghe tradizionali. Secondo le indagini Manuel dopo aver preso il locale in affitto, si occupava dell'approvvigionamento dello stupefacente ordinandolo via internet ad alcune ditte straniere. Il fratello Stefano, così risulta dalle indagini, invece curava l'attività materiale di vendita al minuto. Gli agenti durante i controlli in via Lazzareto Vecchio hanno sequestrato numerose bustine acquistate da ragazzi, in gran parte studenti degli istituti superiori.
Gli agenti della Municipale hanno monitorato per mesi l'attività del negozio di via Lazzareto Vecchio. Lo hanno fatto sia effettuando appostamenti a tutte le ore, ma anche intercettando i telefoni dei due accusati. Ma dalle intercettazioni, hanno anche scoperto che tra i clienti del negozio finito nel mirino del pm Chergia, c’erano anche molti camionisti turchi. I quali - così risulta dalle indagini - spesso durante le soste a Trieste, in attesa dell'imbarco oppure dopo lo sbarco, andavano a comprare la smart drug in via Lazzareto Vecchio. In molti casi, così risulta ai vigili, si tratta delle stesse persone che risulterebbero anche essere state coinvolte in incidenti stradali.
Nella sentenza il giudice Laura Barresi osserva: «Il fatto che (tali sostanze, ndr) venissero definiti profumatori per ambienti era una mera indicazione di facciata e che pertanto non è plausibile che un profumatore per ambienti possa contenere anche solo un grammo di sostanza, non essendo sufficiente tale minima quantità ad aromatizzare i locali, ovvero che il suo venditore suggerisca al cliente di fumarselo». Da aggiungere, infine, che entrambi gli imputati duurante l’interrogatorio avvenuto dopo l’arresto disposto dal giudice Guido Patriarchi, hanno ammesso di aver venduto le sostanze, ma di aver ritenuto che fossero in libera vendita.
Tesi questa fatta propria dai difensori, gli avvocati Giorgio Tudech e Alberto Coslovich che hanno puntato sulla buona fede e sull’assenza dell’elemento psicologico del reato. Ma dalle conversazioni intercettate è invece emerso che mettevano in guardia gli acquirenti sulla neccessità di nascondere quanto comprato perché poteva essere sequestrato.
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