Villa Ritter, simbolo dell’industria goriziana

Sarebbe stato imperdonabile lasciare ulteriormente nell’oblio una delle residenze più importanti per la storia della città: villa Ritter.
Che significa periferia, Straccis, e soprattutto testimonianza dell’industrializzazione che dalla seconda metà dell’Ottocento consentì la crescita economica e demografica di Gorizia.
Sarebbe stato imperdonabile, in particolare, abbandonare al proprio destino la dimora eretta e abitata dai più generosi filantropi che la città, all’epoca capitale di Contea, abbia mai annoverato: Ettore e Guglielmo Ritter, figli di quel Cristoforo che scendendo da Francoforte sul Meno a Trieste scelse Gorizia per aprire uno stabilimento per la raffinazione della canna da zucchero. La città a quel tempo era poco più di un villaggio, contando appena 10mila anime, giacché l’agricoltura - primaria attività economica - languiva assai. Cristoforo, come i figli poi, non pensò solo alla pancia ma volle accontentare pure gli occhi regalandosi il settecentesco palazzo Attems Santa Croce, attuale municipio. Torniamo alla nuova vita di villa Ritter il cui rapporto con il fuoco è quanto meno problematico, essendo stata distrutta in due riprese, 1980 e 1992, da roghi dolosi. Della costruzione ottocentesca “di carattere sobriamente eclettico” rimasero solo le panciute ancorché possenti mura esterne. E restarono, meno male, diverse fotografie degli interni. Da queste immagini si è potuto procedere all’efficace restauro-ristrutturazione dell’edificio.
Domani alle 17.30 ci sarà l’inaugurazione con visita alle stanze ancora disadorne e in cerca d’autore. Perché villa Ritter, possedimento del Comune dal 1976 (i primi ospiti furono i terremotati del Friuli), era destinata a sede di master universitario sul rischio idrogeologico e sismico. Cose che portano sfortuna e, infatti, l’ipotesi è caduta. L’edificio però è stato progettato come scuola e della scuola ha tutto. Per esempio le stanzette studio ricavate nel caldo sottotetto modellato a capriate. Il sindaco Romoli anticipa che è in corso una trattativa con l’Istituto Ciels di Padova per apprire a Gorizia, appunto a villa Ritter, una scuola superiore per mediatori linguistici. La pratica è ferma al Ministero per le dovute autorizzazioni, ma il sindaco appare ottimista. «Una scuola per mediatori linguistici - sottolinea Romoli - andrebbe nella direzione di città internazionale che Gorizia vanta». Torniamo alla villa. Di particolare pregio lo scalone d’ingresso dove le parti originali e collocate come in origine sono davvero la minima parte, ma il recupero del materiale scampato al fuoco ha consentito di ricomporre le assenze ridando al complesso la patina originaria. Ampi i saloni al primo e al secondo dei tre piani; specialmente quello al secondo che si affaccia sul balcone dove possiamo immaginare Gugliemo Ritter osservare soddisfatto, con le braccia conserte dietro alla schiena, le sue fabbriche sorte sul lato sinistro dell’Isonzo. Mal Guglielmo, oltre che filantropo, deve essere stato molto esigente con i suoi lavoratori, peraltro trattati benissimo con la costruzione del villaggio operaio ancora oggi ammirabile nella vicina via Colonia.
Guglielmo, che la villa volle e fu esaudito in appena cinque anni di lavoro (ingresso nel 1845), si era fatto scavare un tunnel sotterraneo per piombare nell’opificio all’improvviso, come usava fare Belfagor alle visitatrici impiccione del Louvre. Nello scantinato si nota la scala a chiocciola che scende repentina agli inferi, da dove si dipana il camminamento ora chiuso ma esplorato anni fa degli speleo del gruppo Seppenhofer. Non sarebbe male rendere accessibile il pertugio al pubblico: chissà cosa vi si cela. E se non si trova nulla, qualcosa si inventa.
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