“31 Aprile”, il fascino indiscreto del male alla fine del nazismo
Vera Stark ha quarantacinque anni, una figlia di venticinque, un ex marito che la tormenta ma ha ritrovato l’amore con Alex, un docente di dottrine politiche all’università. Ma Vera è soprattutto una giornalista di razza e ha da poco cominciato un’inchiesta sulla crescita del neonazismo in Germania e, in modo particolare, su un gruppo che si fa chiamare “31 aprile”; nome che, per chi sa che il 30 aprile del 1945 Hitler si è suicidato nel bunker di Berlino, lascia intendere le sue intenzioni di riprendere il progetto là dove Hitler lo ha lasciato. “31 Aprile” (La nave di Teseo, 441 pagg., 20 euro) è romanzo nero, in cui il congegno perfetto del thriller si unisce a una lucidissima riflessione sul fascino esercitato, ancora oggi, dall’ideologia nazista. Ne è autore Giuseppe Cesaro, che per la nave di Teseo nel 2018 aveva pubblicato “Indifesa”, un romanzo di tutt’altro genere, in cui affrontava la solitudine e il riscatto offerto dall’amore, e dimostra con questa nuova prova di non attenersi a standard predefiniti quando decide di mettersi a raccontare.
Del resto Cesaro è allenato a muoversi tra generi diversi. Ha pubblicato articoli, saggi brevi, racconti e graphic novel e collaborato alla realizzazione di romanzi, memoire, saggi e biografie per alcuni tra i più importanti editori nazionali ed è consulente artistico e ai testi di Claudio Baglioni. In questo libro ha deciso di affrontare il tema del male, perché, come recita il sottotitolo, il male non muore mai, e quel simbolo del male assoluto che è stato il nazismo è tutt’altro che sepolto. Non si tratta solo di naziskin, giovani violenti e deviati in cerca di identità, ma di qualcosa che è attaccato all’essenza dell’uomo. Vera, grazie alle sue ricerche e all’aiuto di due anziani antinazisti, capisce ben presto che l’orrore non è alle spalle e che qualcosa di strano accade a Villa Redenzione, una casa di cura che nascondeva un tempo un lager. La villa è stata da poco trasformata in un museo da Edna Schein, anziana filantropa, figlia del fondatore di Villa Redenzione, il colonnello delle SS Mäher, processato e giustiziato per i suoi crimini alla fine della guerra.
Ma qual è il rapporto tra Edna Schein, Villa Redenzione e il “31 Aprile”? Come mai molti anziani antinazisti stanno scomparendo? E cosa c’è dietro a questo ritorno alla ribalta dell’estrema destra? Sono le questioni a cui Vera deve trovare risposta, rischiando la vita e mettendo in discussione tutto quello che crede di conoscere. Come quando, per scrivere il suo articolo sul gruppo 31 aprile, incontra un giovane naziskin e i suoi camerati e tra i due si stabilisce un serrato confronto tra le tesi del ragazzo e la puntuale confutazione che ne fa la giornalista, in un clima che via via diventa per lei più pericoloso. Ma Vera capisce che i giovani neonazi sono solo degli strumenti nelle mani di qualcuno più intelligente e spietato di loro. A indirizzarla è l’anziano avvocato Weise, che aveva assistito al processo che nel dopoguerra aveva portato alla sbarra il colonnello Maher, e ne aveva deliberato la condanna a morte per i suoi crimini. Weise confida a Vera quella che è la sua idea sul motivo che ha portato al fallimento il processo di denazificazione avviato in Germania. L’uomo è per sua natura attratto dal male più che dal bene, e quando le condizioni politiche si allineano come tanti pianeti neri può accadere che si spenga la luce della coscienza. Il linguaggio, dice a un certo punto uno dei personaggi citando Heidegger, è la casa dell’essere, e la denazificazione è fallita perché non ha depurato le parole che il nazismo aveva infettato. —
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