A Lignano neanche la pioggia riesce a fermare Vasco Bordate rock anti pregiudizi

Davanti a 27 mila fan il Kom ha proposto un concerto che scuote le coscienze I primi tre pezzi sono da trincea e poi la sorpresa delle rivisitazioni in chiave punk

lo show

dall'inviato Gianpaolo Sarti

Bisogna guardarlo in faccia, Vasco. Perché non c’è solo un “cosa”, ma anche un “come”. Vasco spara. Spara bordate rock punk iniettate di disperazione. Esclusione. Pregiudizi. Emarginazione. Divisione. Verità. Il sorriso beffardo, gli occhi desolati.

Quest’uomo che appare a tratti spaesato, timido e assente, sul palco è tornato l’animale inquieto e arrabbiato che ha fatto la storia della musica italiana degli ultimi decenni, sconvolgendo stili e linguaggi. E continua a farla, la storia. «Ricorda il Vasco degli anni Ottanta e Novanta», osa qualcuno. Chissà. Poco importa: qui non si scherza, sembra dire il Kom. Non stavolta. Se qualcuno si aspettava un concerto soltanto bello e divertente (che pure lo è), meglio avrebbe fatto a restare a casa.

Al Teghil di Lignano, dove domenica il rocker di Zocca si è esibito per gli 11.216 del fanclub e ieri, ancora, per la “data zero” che inaugura questo nuovo tour dei record (sei volte a San Siro e poi a Cagliari), il canovaccio è chiaro. Lo hanno capito i 27 mila di ieri sera. Perché sì, certo, c’era spazio per i pezzi scritti e cantati per il solo e squisito gusto di ballare nella bolgia (e pazienza per la tanta pioggia), ma il discorso qui in realtà è ben un altro. Ed appare evidente fin dai primi brani di apertura: “Qui si fa la storia”, “Mi si escludeva”. E, ancora, “Cosa succede in città”. Pezzi da trincea, se vogliamo.

L’artista ha deciso che è il momento di tornare a scuotere le coscienze. A urlare cosa c’è che non va. Che aria si respira in giro. Dove stiamo andando. In oltre due ore e mezzo di rock tiratissimo, Vasco ha dimostrato qualche cosa di nuovo della sua incredibile carriera: Rossi è l’unico, ma veramente l’unico, che può pescare dal passato per fotografare con lucidità il presente. “Cosa succede in città”, una spietata critica all’ipocrisia – “guarda lì, guarda là…che maleducazione! Non c’è più religione” – potrebbe averla scritta ieri. È dell’85. “Mi si escludeva” ha strofe da brividi. “…si escludeva per primi quelli che facevano paura, chissà perché. E avanti così poi comincia la guerra”. È un brano del ’96: un condensato di denuncia sociale che sentito oggi è un pugno nello stomaco. Non un discorso politico, ma umano. Una riflessione sull’andare oltre al rifiuto e “a essere meglio del nostro istinto”, come ha dichiarato lo stesso artista in un’intervista.

Chissà, il Kom è venuto a dirci che quella ricerca di felicità, o almeno di senso e autenticità, forse sta nella preziosità umana. Dietro a quella cortina di odio e paura che soffia qua e là. Che sia l’etichetta dei “benpensanti” (“i buoni da una parte”, sfida a un certo punto Vasco, “i cattivi dall’altra”) o l’esclusione, la questione è sempre la stessa. L’umanità, appunto. Non ci sono risposte, sia chiaro. Ma la “verità”, per dirla con la sua ultima canzone, “si sposa”. Vasco provoca più di quanto si sia visto negli ultimi tour: “La droga? La droga fa male. Anche la vita è una droga. La marijuana, poi? Quella sì che è una droga…”, grida dal palco.

È un concerto che fa godere, gioire e pensare. Un’onda rock, con molte sorprese: pezzi vecchi rivisitati in chiave punk, rispolverati da una discografia infinita. Vasco salta, si dimena, urla, ammicca, mentre sullo sfondo giganteggiano video e giochi di luce. La band, funziona: Claudio “Gallo” Golinelli si alterna al basso con Andrea Torresani, Stef Burns (chitarra) e Vince Pàstano (chitarra e arrangiamenti), Matt Laug (batteria), Alberto Rocchetti (tastiere), Frank Nemola (trombe e cori) e la polistrumentista Beatrice Antolini.

C’è la dolcezza di “Sally” e “Albachiara”. Canzoni – o poesie? – che raccontano le alchimie dell’amore con la capacità del visionario. Prendiamo “La nostra relazione”, il primo brano del primo lp del ’78. Vasco canta e sullo sfondo, come in una grande lavagna, appaiono immagini di somme, sottrazioni, divisioni. È la vita di coppia: una misteriosa formula fatta di sentimenti e compromessi. Il concerto, per un attimo, si trasforma in una sorta di seduta psicoanalitica collettiva.

Guardiamolo, Vasco. Guardiamolo sulle note di “Vivere”, quando si aggrappa sull’asta del microfono. Un’ancora di salvezza. Un appiglio esistenziale alla fatica della vita. La discesa in se stessi, le sconfitte, la lenta risalita. Per chi ce la fa. C’è tutto Vasco in quella posa. E molti di noi. —

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