Abiti, spaghetti e garbugli l’identità d’Italia si scopre nei piccoli dettagli quotidiani

Il racconto dell’identità e dei cambiamenti d’Italia si può fare anche attraverso i dettagli di vita quotidiana interpretati da un grande scrittore, il cibo, gli abiti delle donne, i film preferiti da un pubblico colto e appassionato. E il ritratto che ne viene fuori è quello d’un paese che, nonostante tutto, sa ancora giocare tra memoria e futuro, rinsalda le radici per andare avanti con l’innovazione. Grande innovatore, per lingua e letteratura, è stato Carlo Emilio Gadda. Di cui adesso Adelphi manda in libreria “Divagazioni e garbuglio” (pagg. 553, euro 26), una raccolta sapida di saggi e scritti di vario tipo: l’attenzione critica per progresso e tecnologia, con l’ammirazione per “lo strumentale meccanico della nostra vita” ma anche con il fastidio per le “mandrie di auto allo stato brado che pernottano e svernano all’addiaccio”; i paesaggi della Liguria “terreste e acquorea” che ispirano la poesia di Montale, la rilettura delle pagine di Manzoni e un gusto tutto contemporaneo per “salse” e “spezie” con cui condire la lettura dei romanzi e la vita.

Ecco, le salse. Quelle vere, stavolta. Di cui parla Massimo Montanari, professore di storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, in “Il mito delle origini - Una breve storia degli spaghetti al pomodoro” (Laterza, pagg. 106, euro 9). Un racconto appetitoso, naturalmente, con una identità “fatta di incontri, incroci, mescolanze”. Smentendo la leggenda della nascita degli spaghetti in Cina, Montanari ne colloca l’origine nella “Mezzaluna fertile”, il cuore della Mesopotamia, dove si sviluppa la rivoluzione agricola del grano. E poi ne segue l’espansione verso l’Europa, dalla “lagana” greca e latina (l’antenata delle tagliatelle) a Settecento a Napoli e ai tempi recenti. La mescolanza con un condimento straordinario come il pomodoro, arrivato in Europa dopo la scoperta dell’America, fa nascere il piatto simbolo dell’identità italiana: un’identità mista, in evoluzione. Olio, basilico e parmigiano fanno il resto.

Dal cibo all’abbigliamento. Con le pagine di “L’abito femminile - Una storia culturale” di Georges Vigarello, sociologo universitario a Parigi (Einaudi, pagg 320, euro 32). I vestiti in cambiamento, dal Settecento in poi, ispirati al movimento e alla praticità, senza mai dimenticare la moda, segnano “una riforma”: “Una maggiore presenza della donna nello spazio pubblico, una maggiore frequentazione dei viali, dei grandi magazzini, degli spettacoli, dei caffè, il desiderio d’una mobilità rinnovata”. Parigi detta legge: Coco Chanel è il caso esemplare. Finché arrivano gli italiani, passando “dalla comodità al comfort” e alle innovazioni “tra eclettismo e sensibilità personale”. È il tempo di Milano, di Valentino e Armani, di Dolce & Gabbana e delle altre grandi firme del prêt à porter, che contendono mercati e fantasie femminili a Yves Saint Laurent. E l’abito, nella storia, racconta il passaggio “dal trionfo dell’artificio a quello dell’anatomia e poi a quello della sensibilità”.

La rappresentazione, adesso. Con “Una vita in dieci film” di Severino Salvemini, accademico prestigioso dell’università Bocconi e attento osservatore dell’evoluzione dei fenomeni culturali e sociali. L’editore è Castelvecchi (pagg. 240, euro 18,50), la prefazione di Gabriele Salvatores, la postfazione di Gianni Canova. Salvemini ha chiesto a 200 personaggi famosi di fare un piccolo catalogo dei film che hanno segnato la loro vita, spiegando anche perché (il gioco può ripeterlo, con diletto, ogni lettore). E dalle risposte di Piero Angela, Pupi Avati, Stefano Bollani, Andrea Camilleri, Sabino Cassese, Riccardo Chailly, Lella Costa, Brunello Cucinelli, Emilio Isgrò, Milo Manara, Dacia Maraini, Davide Oldini, padre Enzo Bianchi, Claudia Parzani, Beppe Sala, Elisabetta Sgarbi, Tuttio Solenghi e tanti altri ancora viene fuori, attraverso i film scelti, un ritratto dei cambiamenti del gusto e delle tendenze sociali che colpisce. Il film più scelto è “2001 Odissea nello spazio”. Subito dopo vengono “8 e mezzo” e “Amarcord”, la fantasia e l’ironia di Fellini che tanto dicono di noi. —

Riproduzione riservata © Il Piccolo