Adele Tulli: «Fin da piccoli impariamo stereotipi di genere»

Stasera all’Ariston il documentario “Normal” già passato al Festival di Berlino con la produttrice Laura Romano, in vista dell’Fvg Pride dell’8 giugno



Il ferro da stiro giocattolo per le femminucce, la corsa in moto per i maschietti. I training di seduzione per diventare un “maschio alfa”, i corsi di galateo matrimoniale che consigliano alle future spose di “prendersi cura del marito come fosse un altro figlio”: è il mondo binario diviso per ruoli di genere in cui viviamo, ancora oggi, raccontato dal bellissimo documentario “Normal” di Adele Tulli. Il film sarà presentato questa sera, alle 21 al cinema Ariston, accompagnato dalla produttrice Laura Romano, come parte delle attività culturali d’avvicinamento alla manifestazione del Pride dell’8 giugno. La serata è organizzata dalla Cappella Underground, l’associazione Spaesati e Fvg Pride. In “Normal”, già passato al Festival di Berlino, la regista osserva diverse situazioni “normali” che, sotto l’occhio della macchina da presa, diventano un campionario quasi paradossale di come le convenzioni sociali legate ai generi influiscano sulle nostre vite, già dall’infanzia. Un argomento caldissimo, anche per la politica.

Tulli, com’è nata l’idea del film?

«Da una ricerca per un dottorato che ho fatto in Inghilterra. Il riferimento immediato è stato “Comizi d’amore” di Pier Paolo Pasolini, sulla sessualità nell’Italia degli anni ’60. Per mettere a fuoco i temi da indagare ho viaggiato in auto insieme a sconosciuti attraverso la piattaforma Bla Bla Car, conversando con loro. Ma nel film mi sono concentrata sul linguaggio dei corpi nelle varie fasi della vita in situazioni esemplificative, riti di passaggio socialmente condivisi».

Come quello dei classici buchi alle orecchie fatti a una bimba…

«Una sequenza significativa perché nel suo sguardo si legge un mix contrastante di emozioni: la paura, ma anche il desiderio di appartenere al mondo del femminile. Alcuni discorsi suonano anacronistici, ma non sono così lontani dall’esperienza reale e comune. Gli uomini spesso mi hanno detto che cercano una figura materna nella compagna, le donne si lamentano perché sentono il peso di dover prendersi cura dei compagni».

Sua madre è Serena Dandini, un’autrice che spesso ha ribaltato in tv gli stereotipi di genere…

«Mia madre è stata un esempio forte e non convenzionale di mamma lavoratrice, molto appassionata dei suoi progetti e delle sue idee. Ma, anche se la famiglia non impone particolari codici di genere, il condizionamento sociale arriva dalla scuola, dalle istituzioni, dalla televisione».

Qualche anno fa da Trieste si è scatenata la polemica contro il “Gioco del rispetto”, proposto nelle scuole per promuovere la parità di genere. Perché questo argomento fa ancora tanta paura?

«Il putiferio nazionale nato per un gioco innocuo, anzi addirittura utile per mettere in discussione le discriminazioni di genere, fa capire che qualsiasi tentativo di riflessione su questi temi è sentito come una minaccia. Le norme di genere servono a mantenere un controllo sociale. Reazioni così forti, però, indicano anche che le cose stanno cambiando davvero».

Il film si chiude con l’unione civile di due ragazzi omosessuali: i più “normali” sembrano proprio loro…

«In questo finale alcuni vedono un riconoscimento della diversità, altri lo leggono come una riproduzione del modello normativo etero nella comunità Lgbt. Non c’è una risposta univoca, anzi il mio intento è proprio suscitare delle domande che ci facciano riflettere sul tema». —

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