All’ombra dei ciliegi i matti scoprivano la vita

Antonio Slavich, collaboratore di Franco Basaglia a Gorizia nel 1961, racconta come iniziò l’apertura del manicomio

Esce per le Edizioni Alphabeta Verlag “All’ombra dei ciliegi giapponesi. Gorizia 1961” di Antonio Slavich (pagg. 270, euro 16), che arricchisce le proposte di Collana 180 – Archivio critico della salute mentale. Si tratta di un racconto autobiografico e inedito che si snoda tra il 1959 il 1968. Scritto negli ultimi anni di vita da Slavich, è stato raccolto e curato nella sua prima versione dai figli. "Psichiatra del secolo scorso" come amava definirsi, Slavich è stato uno dei protagonisti dell'esperienza goriziana al fianco di Basaglia.

È il 16 novembre 1961 quando Basaglia arriva a Gorizia come direttore del manicomio. Lo scenario che si presenta ai suoi occhi è un mondo di sofferenza, di violenza, di annientamento, non vi trova uomini e donne, ma internati senza volto né storia. Il giovanissimo Antonio Slavich, arriva nello stesso luogo, pochi mesi dopo e si ritrova primo e unico aiutante del giovane Basaglia. In quel deserto immobile e squallido l’ospedale di Gorizia doveva subire una profonda mutazione, non per passare alla storia, ma per diventare anche solo appena vivibile. Smuovere la realtà immutabile del manicomio, legittimare e validare le nuove pratiche messe in opera nell’Ospedale di Gorizia non sarebbe stata un’impresa facile. Da qualche parte bisognava cominciare. Basaglia e Slavich non avevano dubbi: avvicinare individualmente i malati, trovarli, ascoltarli, restituirgli un volto, costruire con loro una storia era un ineludibile imperativo categorico. Bisognava esserci, almeno tentare. Ma come? Cosa potevano fare due uomini soli? Bisognava agire, inventarsi delle pratiche, delle piccole conquiste quotidiane per cominciare a scardinare le fredde gerarchie manicomiali. Senza avere la certezza di cosa fare e con la speranza di trovare qualcuno, medico o infermiere che fosse, che la pensasse come loro. Assieme, Basaglia e Slavich, messa tra parentesi la malattia scoprono le persone, i loro bisogni e le loro storie. Nel corso degli anni il gruppo diventa più numeroso e sempre di più cresce in loro l’urgenza del cambiamento: aboliscono tutte le forme di contenzione, i trattamenti più crudeli e aprono le porte.

I giorni vengono scanditi dalle assemblee. Da quel momento l’assemblea goriziana diventa il cuore di un movimento destinato a sconvolgere il mondo. Anche il giardino, con gli alberi ai quali venivano legati gli internati, diventa un luogo di conversazione. L’ombra dei frondosi ciliegi giapponesi è il posto dove l’incontro prende vita.

Nasce un altro modo di curare e di ascoltare: il malato e non la malattia, le storie singolari e non la diagnosi, le possibilità di vivere e di abitare la città. Gli internati diventano persone, individui, cittadini. Le resistenze delle amministrazioni pubbliche che fino a quel momento avevano sostenuto con qualche difficoltà l’esperienza della comunità terapeutica finiranno per impedire l’ulteriore sviluppo di quella storia e per richiudere tristemente i cancelli. Basaglia poco dopo ricomincerà la sua visionaria avventura a Trieste. Mentre Slavich diventerà direttore del Servizio di Igiene Mentale di Ferrara, dove riformò i servizi psichiatrici, e direttore dell’ospedale psichiatrico di Genova/Quarto fino alla sua chiusura.

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