A Scienza e Virgola “Alzheimer S.p.A.”, la storia di 30 anni di ricerca nella direzione sbagliata

Sabato alla Lovat Agnese Codignola presenterà il libro sulla catena di errori e omissioni dietro la cura che non c’è

Giulia Basso
La giornalista scientifica Agnese Codignola
La giornalista scientifica Agnese Codignola

 

Perché, nonostante miliardi di dollari investiti in ricerca, ancora oggi non esiste una cura efficace per l'Alzheimer? La risposta è tanto semplice quanto inquietante: per trent'anni la scienza ha inseguito ostinatamente una teoria sbagliata, sostenuta dai potentissimi interessi economici dell'industria farmaceutica.

Sabato 10 maggio, alle 18, nell’ambito del festival Scienza e Virgola organizzato dalla Sissa, la libreria Lovat Trieste (viale XX Settembre 20) ospiterà Agnese Codignola, che presenterà il suo ultimo libro “Alzheimer S.p.A.: Storie di errori e omissioni dietro la cura che non c’è” (Bollati Boringhieri, 2024).

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Un'inchiesta rigorosa e appassionata, che svela uno dei più grandi abbagli della medicina contemporanea. Tutto ebbe inizio nel 1991, quando il genetista John Hardy formulò la cosiddetta “ipotesi della cascata dell’amiloide", secondo cui le placche di proteina beta-amiloide che si depositano nel cervello sarebbero la causa primaria della malattia.

Questa teoria, diventata quasi un dogma anche grazie ai finanziamenti miliardari delle Big Pharma, ha polarizzato la ricerca, impedendo l'esplorazione di altre vie. Il problema? Le prove scientifiche non la supportavano. Come documenta Codignola con precisione chirurgica, fino al 40% dei malati di Alzheimer non presenta placche, mentre molte persone con il cervello pieno di amiloide non sviluppano alcun sintomo di demenza. Soprattutto, i farmaci anti-amiloide hanno collezionato un fallimento dopo l’altro, con un tasso di insuccesso nelle sperimentazioni che ha raggiunto il 98 per cento.

Nel frattempo, ricercatori "eretici" come Ruth Itzhaki, che per decenni ha studiato il legame tra herpesvirus e Alzheimer, o Ralph Nixon, scopritore dei “neuroni Panthos” (cellule nervose che muoiono prima che si formino le placche), venivano sistematicamente emarginati, privati di finanziamenti e di visibilità scientifica.

Particolarmente inquietante è la recente approvazione di costosi anticorpi monoclonali anti-amiloide (aducanumab, lecanemab e donanemab), nonostante benefici clinici minimi e rischi significativi. Codignola racconta come operazioni di lobbying portate avanti dalle case farmaceutiche, dai nomi in codice "Operazione Onice" e "Operazione Giavellotto”, abbiano influenzato le decisioni delle agenzie regolatorie, con conseguenze talvolta tragiche per i pazienti coinvolti negli studi.

Ma il libro non è solo una denuncia: è anche un potente messaggio di speranza. «Se oggi il malato che ho visto morire senza risposte fosse ancora in vita”, scrive Codignola, che ha vissuto in prima persona l'esperienza di un familiare con Alzheimer, “gli direi, senza tema di alimentare false speranze, di resistere, perché una soluzione, forse, è vicina».

Nuove strade di ricerca stanno finalmente emergendo, dalle terapie antivirali agli agonisti di Glp-1, dai farmaci psichedelici agli interventi sul microbiota intestinale. Soprattutto, gli studi epidemiologici dimostrano che intervenendo su 14 fattori di rischio modificabili si potrebbe prevenire fino al 50 per cento dei casi di Alzheimer.

Un risultato che nessun farmaco anti-amiloide può nemmeno lontanamente avvicinare, ma che è stato sistematicamente trascurato perché economicamente non redditizio.—

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