Andrea Germani, dal ricreatorio ad Arthur Miller

L’attore triestino reciterà a marzo in “Morte di un commesso viaggiatore”: «Ho imparato tanto da Kozlovich e Macedonio»
Di Maria Cristina Vilardo

Ama ripensare alle persone che più fortemente hanno creduto in lui, Lidia Kozlovich e Francesco Macedonio, regista e autore di "Essere o non essere Amleto", una riscrittura del testo shakespeariano che gli ha permesso di lavorare su sfumature particolari, sul disincrostare il personaggio da una patina di tradizioni legate a un fisico, a una postura, a una vocalità. Andrea Germani, classe '83, si è formato fra due scuole, quella della Contrada e quella del Piccolo Teatro di Milano. Dopo cinque anni in compagnia con Luca Ronconi, è entrato nella squadra del Teatro dell'Elfo. Lo abbiamo visto ora in regione in "Frost/Nixon" di Peter Morgan, per la regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani, anche protagonisti. Lo spettacolo ha avuto quattro nomination ai Premi Ubu, che si terranno domani a Milano.

«Nel 2011 - dice Andrea Germani - ho vinto il Premio Ubu come miglior attore under 30 e Mariangela Melato l'aveva vinto come miglior attrice protagonista. È stata una cosa stupenda ritrovarmi assieme a lei. Sono stato molto fortunato quell'anno, perché a settembre avevo vinto il Premio Gino Cervi. Mariangela Melato era venuta a Roma a vedere "The History Boys" e mi ha detto: "Continua così, Andrea, perché in scena sei una farfalla"».

Germani sarà anche nel cast di "Morte di un commesso viaggiatore" di Arthur Miller, che il Teatro dell'Elfo proporrà dal 13 al 15 marzo al Teatro Verdi di Pordenone. «Per il mio ruolo - racconta - ho affrontato con Elio De Capitani tre ore di provino, dove io ho rivelato le cose più segrete di me, della mia famiglia, della mia infanzia, di Andrea come persona, per riuscire a dare a lui degli spunti nella creazione del personaggio. E questo ti rende vivo come attore, perché senti che il tuo lavoro parte da qualcosa di profondo di te, non ti viene appioppato addosso e ti sta o stretto o largo».

A Trieste aveva una bisnonna che andava alle cinque di mattina a far la fila al “Verdi” per prendere i biglietti. «Mi portava tantissimo in teatro a vedere l'operetta con Daniela Mazzucato. È da lì che è nata la passione per il mondo dello spettacolo. Ho perso il nonno materno che avevo quattro anni, ma ho dei ricordi assai nitidi di lui, è stata una figura molto importante, ho le sue foto in camerino».

Il primo assaggio del teatro, come attore, risale ai tempi del ricreatorio. «Lo facevo già al Cobolli con la maestra Gabriella Olio. Ho ancora dei vecchissimi filmati con la zia che rideva come una matta. È diventata una passione quando ho finito il liceo. Ma per la mia famiglia, cresciuta a pane e lavoro, questa era una professione molto effimera, perciò pensavo di fare l'avvocato, che fa sempre parte dell'arte attoriale. Poi, però, i miei genitori hanno sempre fatto dei grossi sacrifici per aiutarmi a realizzare i miei sogni, con stima ed ammirazione».

Sulla sua pagina Facebook ha scelto una foto che gli è cara, lo ritrae assieme a Lydia Stix, soprano leggero, sua insegnante di canto lirico al Piccolo, scomparsa il 9 novembre a 99 anni. «Mi chiamava "Padushka", che in russo vuol dire cuscino. "Vieni qua, Padushka mio!", diceva. Lei ci ha fatto vedere un quadro di Rubens: "Vedete velluto? Ecco, questa è voce di basso perché è scura, coperta. Vedete monetine che cadono? Questo è acuto di soprano leggero". Era una cosa divina! Mi diceva sempre: "Padushka, quando sei triste fai come scrisse Dante... chi se ne frega!"».

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