Andrea Molesini «La guerra è un’avventura di paura e speranze»

Lo scrittore presenta oggi alla libreria Lovat di Trieste il suo ultimo romanzo “Dove un’ombra sconsolata mi cerca”



Scrittore estremamente versatile e prolifico, Andrea Molesini ha da poco pubblicato il suo ultimo libro, “Dove un’ombra sconsolata mi cerca” (Sellerio, pagg. 292, Euro 15, 00), che presenterà oggi alle 18 alla libreria Lovat di viale XX Settembre a Trieste, assieme al giornalista Francesco De Filippo, e domani, alle 18 alla Libreria Moderna di Udine, in via Cavour 13. Molesini, nel suo ultimo libro lei ambienta la vicenda, come già ha fatto in “La primavera del lupo”, al tempo della seconda guerra mondiale.

C’è qualcosa di quel periodo che la stimola particolarmente?

«La vastità di questa tragedia – risponde Molesini – consegna al romanziere un paesaggio epico dove le gioie e i dolori di ciascuno vengono di volta in volta esaltati e sminuiti, beffeggiati e vivificati. Vengo da una famiglia di ufficiali di marina: il mio prozio Rainer fu ammiraglio nella Grande Guerra; mio padre ufficiale del Genio Navale dal 1940 all’armistizio del 1943; un mio cugino, tenente medico nella Julia, venne dichiarato disperso sul Don nel 1942. Le storie di guerra sono state parte della mia infanzia, con la loro cruda bellezza fatta d’avventura, di terrore, di attesa, d’illusioni e di speranze».

Un altro libro storico è “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, con cui ha vinto il Campiello. La Storia è solo un pretesto per il racconto o a essa la lega un rapporto più definito?

«Amo la realtà, il rigore che impone al pensiero. Fantasticare è facile. Immaginare, invece, richiede audacia e perizia. I fatti storici costringono al rigore, hanno, per il romanziere, la stessa funzione che hanno le leggi metriche per il poeta. La forza dell’espressione nasce anche dalla costrizione della forma».

Il titolo del suo nuovo romanzo è la traduzione di un verso di Anna Achmatova, che dice anche che ogni tentativo di presentare le proprie memorie in forma coerente equivale a un falso. È per questo che le vicende sono raccontate andando avanti e indietro nel tempo, come se la memoria fosse intermittente?

«La memoria funziona per onde emotive, è uno strumento musicale, non un orologio: non misura il tempo, ma lo inventa, scolpisce, vivifica».

Nel libro si parla di partigiani e di Resistenza, ma in una dimensione in cui emergono anche le debolezze degli uomini. «Perché altra dimensione non conosco. Non ci sono buoni e cattivi, eroi e traditori, ma esseri umani smarriti, abitati da avvenimenti troppo grandi per essere compresi. Guido, il protagonista e voce narrante, osserva il padre che fabbrica, per hobby, mappamondi. Acquerellare sfere di cartapesta che girano sul proprio asse gli dà l’illusione della conoscenza. Mentre il bambino impara che il cobalto della fossa delle Marianne non è l’azzurro pallido dell’Adriatico, intuisce anche che i rapporti tra genitori e figli, uomini e donne, obbediscono a leggi sconosciute, generate forse da un sortilegio divino, spesso distanti dalle rassicuranti indagini della ragione».

La sua produzione letteraria ha toccato tanti generi, poesia, saggistica, narrativa, con un giallo, “La solitudine dell’assassino”, ambientato a Trieste. Questa versatilità le fa piacere o vorrebbe essere più portato verso un genere preciso?

«Scrivo quel che di volta in volta mi detta la coscienza, il Daimon. Sono le parole che mi cercano e si impongono».

I suoi libri sono stati tradotti in una dozzina di lingue, tra cui l’inglese, il francese, il serbo, l’ungherese, il tedesco, il danese. Da cosa immagina nasca questo interesse che riscuote all’estero?

«Non saprei… forse perché metto in scena forti emozioni e temi universali, come l’attesa e il tradimento».

Lei è anche traduttore. È più difficile tradurre o scrivere le proprie storie?

«Ho smesso di tradurre una quindicina d’anni fa. Raccontare storie è ora tutta la mia vita».

Da veneziano che, come detto, ha ambientato un libro a Trieste, qual è il suo rapporto con questa città?

«Una città che amo senza condizioni, pur non conoscendola abbastanza. Amo la sua storia tormentata, il suo essere stretta tra il mare senza confini e la roccia delle sue alture, amo le sue tragedie, i suoi cantori. Saba: “Trieste ha una scontrosa / grazia. Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e mani troppo grandi / per regalare un fiore». —

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