Angiolina, mistero di donna
di ALESSANDRO MEZZENA LONA
Qualcosa su Angiolina ci hanno raccontato. Al di là delle pagine di “Senilità” di Italo Svevo. Per esempio, che era «una fiorente ragazza del popolo». E poi, il vero nome: Giuseppina Zergol. E se vogliamo, anche il destino che ha segnato la sua vita oltre l’orizzonte del romanzo: cioè, come testimoniava la moglie dello scrittore Livia Veneziani, «finì cavallerizza in un circo».
Eppure, il mistero su Angiolina Zarri-Giuseppina Zergol rimane intatto. Al pari delle scarsissime notizie che, ancora oggi, gli studiosi sono riusciti a mettere assieme. Basta leggere l’interessante saggio introduttivo di Renzo Rabboni, professore associato di Filologia dei testi italiani dal 2003 all’Università di Udine, ai due volumi dedicati alle diverse edizioni di “Senilità”. Sono pubblicati dalle romane Edizioni di Storia e Letteratura nell’ambito dell’edizione nazionale dell’opera omnia di Italo Svevo. Una delle poche sopravvissute alla crisi economica e ai tagli di finanziamenti per iniziative di questo tipo.
Su due date non si può discutere: quella della prima pubblicazione di “Senilità”, secondo romanzo pubblicato da Italo Svevo a proprie spese e che passò praticamente inosservato, e quella della seconda, quando lo scrittore stava vivendo un momento ormai insperato di notorietà grazie all’ammirazione di intellettuali e scrittori come James Joyce, Bobi Bazlen, Eugenio Montale, Valéry Larbaud, Benjamin Crémieux e Giuseppe Prezzolini. Nella prefazione alla seconda edizione, uscita nel 1927 per l’editore Giuseppe Morreale di Milano, lo stesso scrittore ricordava: «”Senilità” fu pubblicato dapprima ventinove anni or sono nelle appendici del nostro glorioso “Indipendente”. Poi, nello stesso anno 1898, presso la Libreria Ettore Vram in un’edizione ch’è ormai totalmente esaurita».
Svevo cercava di spiegarsi, quasi ragionasse a voce alta in pubblico, anche il fragoroso insuccesso prima di “Una vita”, ma soprattutto di “Senilità”. Romanzo che, molti lettori e critici, ancora oggi considerano un vero capolavoro: «Forse contribuì al suo insuccesso la veste alquanto dimessa in cui si presentò. Altrimenti sarebbe difficile di spiegare tanto silenzio». Aggiungendo: «Mi rassegnai al giudizio unanime (non esiste un’unanimità più perfetta di quella del silenzio) e per venticinqu’anni mi astenni dallo scrivere. Se ci fu errore, fu errore mio».
Sappiamo bene che l’autore della “Coscienza di Svevo”, morto nel 1928, raccontava una verità addomesticata. Perché, in realtà, lui non solo non si era mai rassegnato al fallimento come scrittore. Ma aveva continuato a lavorare in gran segreto a “Un marito”, alla “Avventura di Maria”, a una decina di racconti. Pur dedicandosi con grande impegno al suo nuovo compito di curatore di affari della Veneziani. L’azienda di proprietà di Gioachino e Olga Veneziani, genitori della sua amata Livia, che si era fatta conoscere nel mondo per una speciale vernice. Capace di rendere la chiglia delle navi più resistente.
Ma non è quello il solo punto oscuro della storia. Di “Senilità”, ad esempio, non sono rimasti «testi autografi, abbozzi o frammenti datati o databili - come sottolinea Renzo Rabboni -. In pieno accordo, peraltro, con quasi tutte le prove del Triestino, di cronologia incerta e, in aggiunta, affidata alle sole stampe, oppure - nel caso delle scritture più tarde - a qualche sparuto lacerto manoscritto».
Così, risulta poco attendibile anche quello che sta scritto nel “Profilo autobiografico”: una sorta di racconto dettagliato di se stesso a cui Svevo avrebbe dato solo una prima sbozzata. Perché, poi, si può ipotizzare un intervento di aggiustamnento piuttosto netto da parte della famiglia. Soprattutto quando scrive che molti capitoli di “Senilità” furono approntati nel 1892 «con l’intento di preparare l’educazione di Angiolina». Tanto che lo scrittore li avrebbe letti a lei stessa. In realtà, l’incontro tra Giuseppina Zergol e Ettore Schmitz può essere datato attorno a quell’anno. La loro frequentazione, poi, andò avanti fino al ’95, proprio quando il romanzo venne più o meno ultimato.
Angolina doveva essere una ragazza appariscente. Italo Svevo la descriveva come «una bionda dagli occhi azzurri grandi, alta e forte, ma snella e flessuosa, il volto illuminato dalla vita». Di lei esiste, se vogliamo credere all’attribuzione, una sola immagine. Il cosidetto “Ritratto di Angiolina” dipinto nel 1897 da Umberto Veruda, il pittore e grande amico di Svevo. Ma c’è un altro dipinto, realizzato nel 1902, ovvero due anni prima della morte dell’artista, che rende ancora più intricato il mistero attorno alla figura di Giuseppina Zergol. È il ritratto di Livia Veneziani, fidanzata prima e moglie poi, del gelosissimo Ettore Schmitz.
A guardarli attentamente, i due dipinti sembrano ritrarre una donna sola. L’amante o la moglie?
alemezlo
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