“Anita” di Alain Elkann: «La memoria ci aiuta contro l’antisemitismo»

TRIESTE Da alcuni anni Alain Elkann ha cambiato il passo del suo raccontare. Scrive libri brevi, ognuno dei quali rappresenta uno spicchio della sua opera ed esprime la sua ossessione di quel momento. «Adesso – spiega – sto riflettendo su come moriremo, non sulla morte in sé, ma su che cosa succederà al nostro corpo dopo di essa». “Anita”(Bompiani, pagg. 89, Euro 15,00), che Elkann presenta oggi a Udine alle 18.30, alla Libreria Moderna di Via Cavour 13, con Fabio Finotti e Luca Ponti, e poi in forma privata a Trieste, a casa della zia Etta Carignani, è un racconto filosofico. La storia d’amore tra Misha e Anita, proprio perché nata in tarda età, apre il confronto tra due diverse concezioni del dopo vita. Scomparire nel nulla facendosi cremare, e magari pensare che l’anima potrà reincarnarsi, oppure mantenere qualcosa di sé su questa terra, un corpo in una tomba, che a poco a poco si abbandona al disfacimento, alla terra.
Lei ha raccontato un episodio molto toccante che riguarda il funerale di Alberto Moravia, di cui è stato amico.
«Quando sono arrivato davanti alla sua bara, che non era stata ancora chiusa, ho visto che indossava una camicia e una cravatta che gli avevo regalato io. Quello che era stato il mio maestro e il mio amico se ne andava con delle cose che gli avevo regalato. È stato un momento molto forte, molto intimo e molto poetico».
Quando Misha, che è contrario alla cremazione, dice che però, se diventasse cenere, la sua tomba non potrebbe essere profanata, come succede in questi ultimi tempi nei cimiteri ebraici in Francia, lei introduce anche un tema di attualità.
«C’è un pericoloso ritorno all’antisemitismo. Il razzismo contro le persone di colore, contro le minoranze come gli omosessuali sono ataviche. Solo la lotta contro il pregiudizio può aiutare a stemperare questa deriva, ma è difficile, soprattutto quando il vento soffia verso il populismo. Trovo agghiacciante che il partito laburista inglese abbia per leader un antisemita».
Come è possibile che si sia tornati a un clima che si sperava ormai finito?
«Quando la classe media non è rappresentata e si sente infelice perché c’è una disparità troppo grande tra ricchi e poveri, trova sfogo nel risentimento e nell’odio e l’antisemitismo è il pregiudizio più antico. Non so se torneremo ai campi di sterminio, ma gli ebrei sono sempre in pericolo. I’gilet jaune’, lavorano tutta la settimana e il sabato pomeriggio si ritrovano per dare sfogo ai peggiori sentimenti, tra cui l’antisemitismo».
È di questi giorni il dibattito sullo studio della storia nelle scuole. Paradossalmente, non pensa che a volte la storia sia un ingombro, come nella questione tra ebrei e palestinesi, e che rinfocoli l’odio?
«Penso che l’odio sia rinfocolato dall’ignoranza. Per questo è importante la conoscenza della storia, sennò si potrebbe mettere in discussione l’esistenza dei campi di sterminio. Il mondo va avanti comunque, non si sa in quale direzione, ma senza avere una memoria storica l’umanità sarebbe persa. L’eredità storica è un peso, ma anche positivo, un campanello d’allarme, un incitamento, un esempio».
La memoria ha bisogno di libri, ma si vendono meno giornali, molte librerie chiudono, si vive nel presente. I libri perdono importanza?
«Il giornale può perdere importanza perché soffre la concorrenza di altri mezzi di comunicazione, ma non spariranno i libri, perché il bisogno di ascoltare storie non finirà, anche se non so su che supporto si leggeranno. Non può tramontare il bisogno di personaggi simbolo come Don Chisciotte o Anna Karenina. Personalmente mi auguro non scompaiano le penne, la carta e i libri. Il piacere di scrivere con una penna o una matita è un gesto impareggiabile, come il disegno a mano libera. Sono questi gli oggetti che vorrei avere accanto nella tomba». —
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