Arditi rossi di Trieste: la “crociata” dei ragazzi contro il fascismo

Torna alla luce il memoriale inedito di Giovanni Tomè, giovanissimo operaio che aderì alle squadre che nel primo dopoguerra si opponevano alla camicie nere 
Giovanni Tomè all’età di dodici anni con la famiglia
Giovanni Tomè all’età di dodici anni con la famiglia

TRIESTE. Erano giovani, idealisti, politicamente scomodi e sempre pronti alla lotta. Erano gli Arditi rossi, o arditi del popolo, squadre armate costituite da giovani socialisti e comunisti, attivi a Trieste e in tutta la regione, che sin dalla nascita del partito fascista, nell’immediato primo dopoguerra, scesero in campo per contrastare le squadracce di Mussolini con gli stessi metodi aggressivi. Al punto che in qualche occasione decisero di indossare la camicia nera, ma con simboli della falce e martello.

Ora le gesta degli Arditi rossi riemergono in un memoriale inedito lasciato da uno di loro, il triestino Giovanni Tomè, all’epoca giovanissimo operaio al Cantiere San Marco (classe 1903), morto ultraottantenne, e le cui testimonianze scritte sono adesso disponibili agli storici e a chi scrive queste righe.

L’epopea degli Arditi rossi nacque presto ed ebbe vita breve. Già nel dicembre del 1921, la maggior parte dei membri dell’organizzazione fu arrestata e deferita al Tribunale Speciale; alcuni di quei ragazzi furono arrestati nella scuola che frequentavano. Il processo fece clamore perché venne denunciata la brutalità che l’autorità inquirente aveva usato contro i denunciati. In quel periodo il socialismo scontava i suoi gravi errori politici e la sua decadenza, accelerata dalla pressione della borghesia e del fascismo, raggiunse l’acme al tempo della frattura socialista di Livorno, per cui a pochi mesi da questo evento e nel quadro di una lotta politica che non concedeva respiro, i socialisti triestini dovettero abbassare la guardia.

La crescente aggressività dello squadrismo fascista, palesemente sostenuto dagli industriali, fece sì che gli oppositori del fascismo si raccogliessero in prevalenza nella classe operaia, di fede comunista, nei ceti medi d’orientamento repubblicano.

Nel neocostituito partito comunista non vi era però chiarezza di idee, né la definizione di una precisa linea politica. Frequenti erano le divergenze tra i dirigenti. Spesso i giovani, per arginare la crescente aggressività del fascismo, si buttavano allo sbaraglio nella guerriglia di città, operando per proprio conto, indipendentemente dalle direttive di partito. Nel Friuli assaltavano spesso a mano armata i camion su cui i fascisti andavano a compiere le loro spedizioni. A Trieste difesero armati le sedi operaie e quella del partito repubblicano in Istria.

Il periodo compreso fra il maggio 1919 ed il settembre 1920 fu caratterizzato da grandi scioperi diretti dai metallurgici che ottennero importanti rivendicazioni, trascinando con il loro esempio altre categorie. Risorsero circoli giovanili e culturali. La sezione socialista di Trieste fu tra le più forti e disciplinate d’Italia, la Camera del Lavoro tra le più attive. Nel 1919 le famiglie operaie di Trieste ospitarono alcune centinaia di bambini per alleviare i disagi di tante famiglie viennesi stremate dalla fame. Si scioperò per l’assassinio dei capi spartachisti Karl Liebnecht e Rosa Luxemburg, a difesa della repubblica dei Consigli ungheresi e della Russia dei Soviet assediata dalle armate bianche. Navi e treni carichi di mitragliatrici e di carri armati destinati ad una spedizione militare italiana nel Caucaso furono bloccate, per varie settimane, nel porto di Trieste. Tuttavia, i dirigenti massimalisti non furono in grado di analizzare quella realtà e il settarismo bordighista impedì di stabilire alleanze con le forze borghesi progressiste, repubblicane e popolari, disposte a battersi insieme agli operai.

A Trieste sotto i colpi dello squadrismo fascista, ben più aggressivo di quello milanese, cadevano ad uno ad uno circoli culturali, sedi sindacali e politiche, redazioni di giornali come il Lavoratore socialista e comunista, l’Emancipazione, testata del partito repubblicano. E fu a quel punto che giovani coraggiosi e idealisti di diverso orientamento, socialisti, comunisti, anarchici, repubblicani, cattolici – tra i più famosi Vittorio Vidali, Luigi Frausin, Antonio Juraga – decisero di opporsi per proprio conto al disegno padronale, non potendo contare né sull’approvazione né sul sostegno del partito socialista e comunista. In nemmeno due anni, tra il 1919 e il 1920, le fila degli Arditi rossi a Trieste contavano ben cinquecento attivisti.

«Dopo la scissione dal Partito socialista - si legge nelle memorie di Tomè -, nei nostri circoli comunisti si leggevano buoni libri, donati alle nostre biblioteche da compagni più abbienti o comperati con elargizioni, c’erano maestri che davano lezioni gratuitamente, insegnando anche la lingua moderna, che tutti avrebbero dovuto imparare, l’esperanto. Da noi a Trieste, dal circolo Andrea Costa di Ponziana, nacque la squadra di calcio del Ponziana, un tempo famosa. Il nome venne tramutato dal fascismo, quando raggiunse il potere». «Nel 1921 - continua il memoriale inedito di Tomè -, quando il Partito Comunista diventò maggioranza nell’ambito della sinistra socialista, questo circolo diede parecchi arditi rossi, che presero poi stanza alla Camera del Lavoro di via Madonnina, sede principale del partito riformista. Gli arditi rossi erano dotati di armi leggere e di bombe per fronteggiare i fascisti, che spadroneggiavano da tempo anche nella nostra città, al comando del famigerato avvocato fallito Francesco Giunta, mandato da Milano per ordine di Mussolini».

Giovanni Tomé partecipò allo sciopero generale a Trieste del dicembre 1921: «L’ora stabilita - ha lasciato scritto -, la squadra riunita, verifica d’armi, dotazione di bombe, azione combinata con altra formazione del gruppo anarchico. Venti ragazzi, due nuclei d’arditi, scompaginare la forza pubblica ed i fascisti alleati armati fino ai denti. Il centro città non doveva aderire allo sciopero generale. Si imponeva la forza alla forza. Era la zona dove imperavano i padroni...». Arrestato alla fine del 1921 insieme a molti altri compagni, fu condannato dal Tribunale Speciale ad 8 anni di confino.

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