Arrivano i bio-mattoni realizzati con le alghe lagunari di Venezia

Giovanna Pastega



I bio-mattoni che si rigenerano grazie a speciali batteri e le isole galleggianti del lago Titicaca in Perù costruite con spessi strati di canne continuamente sovrapposte: sono solo alcuni dei tanti temi e materiali di studio al centro del nuovo programma espositivo e di ricerca lanciato dalla Fondazione russa Vac di Venezia dal titolo “Non-Extractive Architecture: Progettare senza estinguere”.

Per un intero anno giovani ricercatori da tutto il mondo, coordinati da Joseph Grima e dallo studio di design Space Caviar, daranno vita – grazie al progetto di residenze di ricerca della Fondazione – ad una fitta serie di workshop e conferenze collegate ad una piattaforma editoriale multimediale, cuore di un work in progress espositivo che offrirà ai visitatori i progressi delle varie ricerche in tema di progettazione bio-compatibile.

Attualmente il settore dell’edilizia è responsabile del 39% delle emissioni complessive di gas serra. Il bisogno di risorse non rinnovabili, come sabbia, acqua, pietra e acciaio, necessarie per l’urbanizzazione rapida, sta irreversibilmente impoverendo intere zone della terra.

La “Non-Extractive Architecture” vorrebbe cercare di invertire la rotta. Come ridurre ad esempio la dipendenza dell’edilizia dalle risorse non rinnovabili? Come attuare una possibile de-cementizzazione? Al centro l’obiettivo di fornire dati, progetti, risultati e risposte in tema di eco-sostenibilità dell’architettura in ogni sua fase: dai materiali sino alla manodopera.

Un nuovo approccio, che vede tra le ricerche di punta un interessante studio della “architectural technologist” Kathryn Larsen dedicato alle alghe come possibile materiale per l’edilizia contemporanea o come tessuto per il design.

«Lo studio - ha sottolineato Joseph Grima - inizierà proprio dalle alghe presenti nella laguna di Venezia, con particolare attenzione per le specie infestanti. Poi si proietterà sulle diverse tipologie di organismi vegetali esistenti nell’Alto Adriatico, fino ad arrivare a studiare anche quelle che popolano il Golfo di Trieste». Un’interessante prospettiva per approfondire fenomeni a volte invasivi, come ad esempio la recente comparsa nelle acque di Trieste della Noctiluca scintillans, una microalga che grazie alla bioluminescenza delle sue cellule appare di giorno arancio-gelatinosa e di notte blu fosforescente.

Kathryn Larsen nelle sue ricerche si è ispirata alle antiche tecniche di lavorazione delle alghe dell’isola di Læsø nel nord della Danimarca, che venivano impiegate per costruire i tetti delle case, sviluppando un materiale ignifugo, completamente impermeabile con proprietà simili alla lana di roccia.

Tema centrale del progetto le “Città invisibili”, che intende esplorare le catene di approvvigionamento, le economie sommerse e i mercati del lavoro che supportano l'industria edile e il processo architettonico, per incoraggiare gli architetti ad una maggiore responsabilità nel loro pensiero di progettisti, ma anche di “custodi” dell'ambiente costruito.

«L’impegno e la scommessa del progetto e della mostra, visibile al pubblico fino al 31 gennaio 2022 nel Palazzo delle Zattere della Fondazione Vac, è quello – spiega il curatore - di rendere il pubblico partecipe di tutto il lavoro svolto dai ricercatori in ogni fase, grazie ad una “piattaforma aperta di ricerca dal vivo” dedicata alla rielaborazione dell’equilibrio fra l’ambiente costruito e quello naturale, al ripensamento del ruolo della tecnologia e della politica nelle economie materiali del futuro e a una nuova visione della responsabilità dell’architetto, considerato un agente del cambiamento».

«La nostra intenzione – conclude Grima - è quella di coinvolgere ricercatori e studiosi di tutto il mondo, in particolare italiani, a collaborare con noi per ogni possibile scambio di conoscenze». —



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