Baxa e i giorni del caos

Originario di Lindaro, una frazione di Pisino, fu comandante dell’esercito austro-ungarico per poi scegliere di disertare
Ci furono alcuni italiani che un secolo fa “liberarono” Trieste prima dell’arrivo delle truppe. Tra questi l’istriano Carlo Baxa. Un suo nipote, Fulvio Baxa, vive ancora oggi a Trieste, cacciato da bambino (quando aveva solo cinque anni) assieme a tutta la sua famiglia, da Lindaro, frazione di Pisino al termine di un’altra guerra, altrettanto tragica. Così Giampaolo Zagonel ricostruisce quelle giornate di un secolo fa nel libro “Carlo Baxa. Una vita al servizio dell’Italia” edito da Dario De Bastiani.


“Allo scoppio della guerra, Carlo Baxa ormai vicino ai 40 anni viene richiamato alle armi (nell’Imperial regio esercito dell’Austria-Ungheria,
ndr
) e nominato comandante della piazzaforte di Cattaro, appartenente all’Austria fin dal 1797 dopo la caduta della Repubblica veneta, con il grado di capitano, dove rimane per due anni. A seguito della rotta di Caporetto, nell’ottobre 1917, è inviato a Sacile con l’incarico di comandante di tappa. Il 22 gennaio 1918 i tedeschi, che per primi avevano occupato Vittorio Veneto, lasciano le consegne al comando della Sesta armata austriaca dell’arciduca Giuseppe. Vengono sostituiti da un comando di tappa austro-ungarico con a capo il colonnello Lethay e i primi giorni di febbraio arriva, in qualità di comandante di tappa, il capitano di Cavalleria Carlo Baxa. A Vittorio Veneto Baxa si ferma fino al 15 luglio quando, chiesto il trasferimento, viene inviato con lo stesso incarico a Gemona. Da qui viene successivamente a Trieste con il compito di dare la caccia ai disertori. Nei suoi rapporti ufficiali li stima in un centinaio mentre in realtà coloro che si nascondono sono circa 20.000. Ma la guerra sta per finire con lo sfondamento delle truppe italiane sul Piave e l’avanzata verso Vittorio Veneto”. Il cambiamento di fronte da parte di Baxa è sentito, ma repentino.


“A Trieste – narrano le cronache – si confezionavano con mezzi di fortuna le nuove bandiere: il tricolore viene issato per la prima volta sulla torre del Comune il 30 ottobre. Il 29 si riunisce il Comitato di salute pubblica presieduto dall’ultimo podestà, Alfonso Valerio, appena rientrato dall’internamento. Ne fanno parte dodici italiani liberalnazionali, dodici socialisti, quattro rappresentanti della comunità slovena. Il mantenimento dell’ordine viene affidato a gruppi di volontari armati coadiuvati da un reparto di militari cecoslovacchi”. Si scatena una vera e propria guerriglia, con una trentina di morti e decine di feriti.


Baxa si è già mosso. Ed ecco il resoconto delle sue mosse che ne fa Zagonel. “Il 28 ottobre Carlo Baxa (disertando dall’Esercito austro-ungarico,
ndr
) si presenta all’avvocato Alfonso Valerio per costituire un’unità di controllo in attesa dell’arrivo delle truppe italiane a Trieste, poiché non tutti i triestini sono favorevoli all’annessione al Regno d’Italia. Bisogna soprattutto evitare saccheggi e violenze da parte delle truppe austriache che non hanno ancora abbandonato la città. Il giorno 30 il capitano Carlo Baxa viene chiamato proprio dall’avvocato Valerio per discutere della situazione e mettersi a disposizione come tanti altri suoi colleghi italiani già in armi sotto l’Austria. Le carceri sono stracolme di detenuti politici e di renitenti alla leva. I dimostranti che si recano alle carceri con il tricolore in testa le trovano difese con i fucili spianati da soldati armati, in genere croati. Il conte Ugo di Montignacco spiega loro che l’Austria è ormai finita, che i popoli componenti il vecchio impero sono liberi e fa tradurre queste frasi in croato. Il capitano croato consegna allora le chiavi, i soldati abbassano i fucili, vengono disarmati e i prigionieri liberati.


Nel pomeriggio il Comitato di salute pubblica invita alcuni capitani dell’Esercito austro-ungarico, tra cui Carlo Baxa, a costituire la Guardia nazionale, ma la Luogotenenza austriaca ancora non si arrende rimanendo in attesa di ordini da Vienna. Per tutta la notte il Comitato di salute pubblica siede in permanenza invitando i cittadini volonterosi dai 20 ai 42 anni a prestar servizio presentandosi al Teatro Fenice. Bisogna però occupare l’arsenale e le caserme. La Caserma grande nella futura piazza Oberdan, presidiata da un reggimento, viene presa da Carlo Baxa e da Amedeo Missiaglia. Occupata la caserma, il primo novembre il comandante Ugo Abbondanno coadiuvato da Baxa impartisce ordini e distribuisce picchetti per la città che in qualche punto è in preda a saccheggi di negozi e abitazioni da parte di teppisti e gruppi di soldati sbandati. Nel frattempo si chiede aiuto urgente all’Italia, e la risposta suona: “Invierò pronto soccorso a Trieste. Firmato Diaz”.


Già la sera del 2 novembre al molo San Carlo fervono i preparativi per l’arrivo delle navi disponendo i punti di ormeggio. A protezione dell’acquedotto e dell’officina del gas i capitani Baxa e Frau inviano prigionieri italiani poiché la Guardia nazionale, appena costituita, conta tra i suoi 300 membri un centinaio di prigionieri italiani. E finalmente alle 15.30 del 3 novembre le navi militari italiane arrivano in città”.


Tra le due guerre Carlo Baxa diviene dapprima direttore della Commissione di cura a Portorose e poi direttore della Stazione climatica e balneare di Abbazia. I Baxa hanno tre aziende agricole, vasti terreni, gruppi di mezzadri che lavorano per loro. Si producono in particolare pregiate uve da tavola. Ma a Pisino, dove la popolazione è da sempre mistilingue, il fascismo con la sua violenza nazionalizzatrice provoca gravi danni ed esacerba gli animi ancor più che nelle zone costiere dove gli italiani sono maggioranza. Le vendette dei partigiani jugoslavi sono feroci. Suo cugino Marco è arrestato, anche l’altro cugino Arturo è costretto ad andarsene. Dalla cava di bauxite di Lindaro verranno poi estratti trenta cadaveri, evirati, con le mani legate dietro la schiena e pieni di segni di torture. Case, terreni, altri beni: tutto è nazionalizzato e confiscato dalla Jugoslavia. Carlo Baxa fugge dapprima a Trieste e poi a Merano dove muore pochi anni dopo, nel 1951.


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6-Continua
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