Bernardini: «Vi presento il vero Peter Pan»

Nel cortometraggio “An Afterthought” una versione della favola diversa dalla Disney più aderente al romanzo di Barrie
TRIESTE. Nella versione più nota al grande pubblico, quella del cartoon Disney del 1953, Peter Pan è un eroe positivo, l’eterno bambino senza macchia. Nell’intenzione originale del suo autore J.M. Barrie, che lo creò nel 1902, però non era proprio così. E c’era un finale parecchio diverso da quello che ricordiamo. Lo scopriamo nel bellissimo cortometraggio “An Afterthought” di Matteo Bernardini, in programma stasera a ShorTS – International Film Festival in Piazza Verdi a partire dalle 21.30, fra i 18 titoli italiani selezionati quest’anno in concorso.


Torinese, 34 anni, Bernardini ha già un lungo curriculum: viene dalla New York Film Academy di Londra, ha lavorato come assistente alla regia all’Opera con Michele Placido e Robert Carsen, al cinema con Cristina Comencini e nel 2008 il suo videoclip è stato scelto come video ufficiale del brano “Ooh yeah” di Moby. Quella per Peter Pan è una passione di famiglia: «È stata “la” storia dell’infanzia anche per i miei genitori: ho ancora il libro di mia madre datato 1955», dice Matteo, che sarà ospite del festival a Trieste nel weekend. «Fin da bambino ho letto le versioni originali dei romanzi di Barrie e ho scoperto i veri toni e le vere simbologie di questa storia, che si discostano molto da Disney». Così ha deciso di girare “An Afterthought”, «il primo adattamento cinematografico in assoluto del finale voluto dall’autore, un atto unico scritto da Barrie nel 1908 e che è diventato il romanzo “Peter e Wendy” solo nel 1911». Nel corto vediamo Wendy, cresciuta, raccontare alla figlia le avventure dell’Isola che non c’è. Ma Peter Pan, improvvisamente, ritorna a prenderla: Wendy deve rivelargli di essere diventata adulta, e di non saper più volare. Sua figlia, invece, è pronta a partire. Il corto, elegantissimo, ha un pedigree importante: il regista l’ha scritto con Sahar Delijani, la scrittrice di “L’albero dai fiori viola” edito da Rizzoli, e il direttore della fotografia è Italo Petriccione, lo stesso di “Il ragazzo invisibile”. C’è anche una quota locale: l’aiuto regista è la triestina Francesca Delise.


Bernardini, perché ha scelto di mettere in scena il lato meno noto di Peter Pan?


«“Peter Pan” è un saggio sull’ambiguità: una storia di luce e ombra, una grande metafora della vita con significati gioiosi e tragici. Come tutti i miti, siamo convinti di conoscerla e invece non sappiamo nulla delle fonti originali».


In cosa è diverso l’originale rispetto alla rilettura Disney?


«La versione Disney è più edulcorata e semplificata, basata sull’idea di un eroe positivo: Peter Pan rappresenta l’infanzia eterna vista in termini nostalgici. Invece il testo originale di Barrie sbatte in faccia al pubblico cosa significhi essere bambino per sempre: di fatto, rifiutare la vita. Ed essere destinato a rimanere solo, perché le persone che ami crescono e cambiano. Wendy, d’altro canto, accetta di essere adulta lasciando andare la figlia: questa sua “permissività” ha turbato molti».


Nel corto c’è una perfetta ricostruzione d’ambienti d’epoca…


«Lo abbiamo girato tutto ai Four Studio di Torino, con effetti speciali dal vivo. È stata una grande scommessa vinta, per impegno produttivo pari a un film lungo: avevo una troupe di 40 persone e la grande attrice beckettiana Lisa Dwan. Troupe italiana e cast internazionale: un cocktail che in passato ha fatto nascere capolavori, come “C’era una volta in America” di Sergio Leone».


Un budget impegnativo per un corto…


«Per dieci anni mi sono confrontato con budget ridotti e progetti indipendenti. “An Afterthought” è il primo tassello del lungometraggio su Peter Pan al quale sto lavorando: non potendo comunque avere i soldi delle major hollywoodiane, le uniche ad aver raccontato al cinema Peter Pan finora, non potevo permettermi di scendere troppo sulla resa estetica».


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