Bestiari antichi e moderni raccontano perché l’uomo va a caccia di meraviglie
la recensione
Unicorni, draghi, grifoni e leviatani. C’è stato un tempo in cui il mondo era popolato di mostri e strani animali, e se oggi siamo cresciuti abbastanza per sapere che i veri mostri abitano dentro di noi e non fuori, è altrettanto vero che il Paradiso perduto ci ha lasciato una certa nostalgia di quel “maraviglioso” che riempiva cuori e menti dell’uomo prima dell'era antropocentrica. Durante il Medioevo, quando le conoscenze cominciavano a muovere i primi timidi passi verso la modernità, la sistematizzazione del meraviglioso trovava collocazione nei bestiari e nelle Wunderkammer: i primi erano trattati illustrati, fioriti nell’Alto Medioevo, che prendevano le mosse dalla Storia degli animali di Aristotele e dalla Storia naturale di Plinio il vecchio; le seconde, le camere delle meraviglie - che riunivano in modo fantasmagorico esemplari e frammenti autentici di minerali, piante e animali esotici -, presero piede tra XVI e XVII secolo. Oggi, là dove Internet ha preso il posto di questi gabinetti di curiosità e meraviglie moltiplicandoli all’infinito; oggi, in un tempo in cui i mostri hanno forme e nomi riconoscibili in ciò che di peggio siamo capaci di esprimere, e in cui la maggior parte delle specie animali è conosciuta e studiata, «la passione per le curiosità e le meraviglie è rimasta intatta». E questo perché «i tentativi di comprendere e definire noi stessi compiuti in quasi tutta la storia umana sono astrattamente legati a come vediamo e rappresentiamo gli animali». Ne è convinto Caspar Henderson, giornalista e documentarista per la Bbc, che un giorno, ispirato dal “Libro degli esseri immaginari” di Borges, ebbe l’idea di mettere mano a un bestiario del XXI secolo, un repertorio del tutto simile nello spirito e nell’impianto a quelli medioevali, ma tarato per le anime buone dell’Antropocene, destinato cioè a un pubblico sottilmente affamato di meraviglie ma sufficientemente disilluso da degrado ambientale, proliferazione nucleare e dalle «più recenti concessioni accordate a torturatori e criminali». Il risultato è “Il libro degli esseri a malapena immaginabili” (Adelphi, pagg. 543, Euro 34,00, traduzione di Massimo Bocchiola, disegni di Roberto Abbiati) un bestiario contemporaneo di impianto umanistico-scientifico che si rivolge all’umano, troppo umano, che governa il mondo. Si comincia dall’Axolotl (Ambystoma mexicanum), una curiosa salamandra appunto «dallo sconcertante aspetto umano», che se danneggiata è capace di rigenerare senza cicatrici arti, polmoni, midollo spinale e persino parti del cervello. L’Axolotl offre a Henderson l’occasione per un ragionamento ad ampio raggio - al modo degli antichi - dalle più recenti scoperte sull’evoluzione ai problemi dell’inquinamento, fino agli studi sulla biologia rigenerativa. Si passa poi alla spugna barile (Xestospongia), una spugna così grande da poter ospitare al suo interno un subacqueo, pinne comprese. «Alcune spugna barile - osserva l’autore - vivono fino a duemila anni - non meno venerande, seppur meno imponenti, delle sequoie della California». Ce n’è abbastanza per un discorso intorno al mondo e all’età della vita, vale dire circa quattro miliardi di anni, un tempo profondo cui queati poriferi sono legati a filo doppio, visto che le spugne «primordiali suonarono alcuni dei primi accordi nella transizione allo spartito completo della vita come lo conosciamo attualmente, ed è probabile che tutti gli altri animali pluricellulari abbiano avuto origine da una delle prime diramazioni dello loro linea evolutiva».
Di meraviglia in meraviglia (sono 27), Henderson passa in rassegna il Nautilo, il polpo, il pesce palla, la balena franca, la tartaruga liuto, il pesce zebra e molte altre specie che, in realtà, “appena immaginabili” lo sono solo se le osserviamo e contempliamo in un’ottica multifocale, dalla loro storia evolutiva e biologica fino ai significati simbolici, culturali e persino artistici di cui si possono ammantare. Come per l’animale più “a mala pena immaginabile” del moderno bestiario di Henderson, e cioè l’essere umano (Phylum: Chordata, Classe: Mammalia, Ordine Primates, Famiglia Hominidae, Genere: Homo), cui è dedicato un capitolo. Partendo dal fatto che «il dibattito su cosa distingua gli esseri umani dagli altri animali è vecchio almeno duemilacinquecento anni», Henderson punta l’attenzione su quanto la musica abbia concorso a fare della specie Homo sapiens ciò che è: «Sperimentare con il ritmo, le dinamiche, l’armonia e il timbro è un modo per esplorare ed espandere la natura e i confini della coscienza stessa».
Di coscienza, invece, si occupavano poco gli estensori degli antichi bestiari medioevali. Ce lo racconta Chiara Frugoni in “Uomini e animali nel Medioevo - Storie fantastiche e feroci” (Il Mulino, pagg. 386, Euro 40,00), analizzando in un elegante volume illustrato i significati e l’iconografia legati al mondo animale raffigurato nei bestiari. Tutto, dimostra la grande medievista, ruotava intorno alla figura di Adamo e al Paradiso perduto: dopo la grande disobbedienza, ormai gli animali non dovevano più servire l’uomo, casomai dargli addosso, anche nelle forme più orrorifiche e fantasiose. Da qui, «dalla precisa cognizione di un’armonia perduta», la percezione di un “meraviglioso” che andava a braccetto con la paura, generando un’epoca sorda «in generale ai bisogni e alle sofferenze degli animali», che in parte ancora oggi scontiamo. —
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