Brian Yuzna: «Adesso l’horror non è più cinema di serie B»

Il cineasta americano ospite della rassegna triestina oggi festeggia al Miela i trent’anni del suo film cult “Society”, metafora della borghesia snob
Lasorte Trieste 30/10/19 - Hotel Victoria, Science Fiction Festival, Intervista Lughi
Lasorte Trieste 30/10/19 - Hotel Victoria, Science Fiction Festival, Intervista Lughi



. Uno dei più importanti cineasti dell’horror contemporaneo, lo statunitense Brian Yuzna, è in questi giorni a Trieste come presidente di giuria del Science+Fiction. Autore di pellicole cult del cinema fanta-horror degli anni’80 e’90, oggi Yuzna festeggerà i primi 30 anni del suo “Society – The Horror” (1989), che verrà proiettato alle 15 al Teatro Miela in versione restaurata alla presenza del regista, che potrà così incontrare i suoi numerosi fan. Feroce metafora in salsa splatter sulla borghesia snob americana, “Society” è il fulminante esordio alla regia di Yuzna, nonché uno dei migliori horror sociopolitici dell’epoca. Gli abbiamo chiesto quanto lui fosse pienamente conscio, all’epoca della realizzazione del film, dell’importanza di “Society” nell’affermazione del body horror, filone che vedeva nello stesso periodo un altro grande protagonista in David Cronenberg con “La mosca”.

«Non ci si rendeva conto allora di ciò che si stava definendo come body horror – risponde Yuzna – “Society” è nato dalla mia volontà di esprimere le emozioni di un giovane cresciuto nella California degli anni’60, dentro le manifestazioni della controcultura dell’epoca, che nutriva sospetti su tutte le forme di potere, incluse quelle familiari. Il mio interesse per gli effetti speciali, e la curiosità di creare nuovi mostri partendo da questa base sociologica, ha fatto il resto».

Il primo film da lei prodotto, “Re-animator” (1985) di Stuart Gordon, così come “Re-animator 2”, “From Beyond”, “Dagon” o “Necronomicon”, sono ispirati agli scritti di Howard Phillips Lovecraft. Quando ha iniziato a occuparsi di questo autore?

«Non sono stato un fan precoce di Lovecraft, ne avevo letto qualcosa ma l’avevo trovato molto difficile. È stato il mio amico Stuart Gordon, che mi aveva coinvolto nella produzione di’Re-animator’, a farmelo scoprire. Da lì ho cominciato a leggere e apprezzare tutte le storie di Lovecraft, e a ispirarmi a lui. In precedenza, dal punto di vista letterario ero più vicino ad autori più classici come il Bram Stoker di “Dracula”. Per quanto riguardava il cinema, ero invece appassionato in generale ai film sulle trasformazioni, agli uomini lupo e ai vampiri. Ero attratto dalle espressioni facciali distorte, dalle creature fantastiche, da ciò che non accadeva nella vita vera. Ed ero pertanto un grande fan degli effetti speciali creati dal grande Ray Harryhausen. Per questo ero predisposto alla trasposizione cinematografica di Lovecraft, come accade ad esempio in “Re-animator” per la testa tagliata che continua a parlare. Inoltre, essendo cresciuto da ragazzo in Paesi cattolici come Nicaragua e Panama, ero stato particolarmente impressionato dall’iconografia cristologica e dei santi, con i corpi martoriati dalle torture. Ho portato queste ispirazioni nei film che ho prodotto o diretto, a partire da “Society”, con una voglia di esagerare favorita dai nuovi effetti speciali degli anni’80».

Il cinema fantastico ha registrato di recente un grande successo con gli Oscar a “The Shape of Water” di Guillermo Del Toro. Qual è oggi la situazione del cinema horror?

«Oggi l’horror non è più di serie B, è diventato sempre più “mainstream”. Del Toro, ad esempio, con “The Shape of Water” ha raccontato una storia di mostri marini e sirene simile al mio film “Dagon”del 2002, che era però più dark, aggiungendo un commento sociale importante che gli ha fatto acquisire una popolarità universale. Questa operazione può togliere originalità al genere? Non credo che ciò avvenga, il fantastico mantiene sempre la sua freschezza e il suo fascino per i fan indipendentemente da come venga interpretato dalla pubblica opinione o dai grandi media».

È la terza volta che interviene a Trieste per il Science+Fiction. Come giudica il ruolo dei festival di genere?

«Ho cominciato a frequentare i festival del fantastico a metà degli anni’80 in Europa, perché negli Stati Uniti non esistevano. Quella volta ce n’erano ancora pochi, il Dylan Dog Horror Fest a Milano, il Fantafestival a Roma, e poi Sitges, Bruxelles. Per me queste occasioni rappresentavano una vera sorpresa per varie ragioni. Potevo incontrare altri cineasti e produttori interessati al mio stesso tipo di cinema. Ma soprattutto potevo incontrare un pubblico cinefilo completamente diverso dagli appassionati di cinema generici. Quello dei festival di genere è un pubblico ossessionato da questo tipo di film e determinato a vedere tutto, dai film di qualità a quelli considerati trascurabili. È un pubblico religiosamente dedito al fantastico che va rispettato e capito». —

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