Buon compleanno a Gianrico Tedeschi cent’anni da protagonista del palcoscenico

Roberto Canziani
Fa bene dare una buona notizia. Soprattutto adesso, quando si parla di anziani in termini dolorosi. La buona notizia è di quelle che rincuorano: oggi, 20 aprile, Gianrico Tedeschi compie 100 anni. E va a lui, attore di lungo corso, e a una generazione anche più giovane, l'augurio di mantenersi in salute. Perché è confermato, che il teatro fa bene. Fa bene farlo. Forse anche vederlo.
«Mi creda: si fa fatica a fare gli attori, ma è una fatica buona» ci aveva detto Tedeschi qualche anno fa, in una lunga intervista. Avevamo parlato tanto, anche dei suoi rapporti con questo territorio, il Nordest. Dove lui, milanese di nascita, era approdato molte volte durante le tournée. Luoghi ai quali si era poi affezionato, decidendo di tornarci sempre più spesso. In un bell'albergo sul Collio, dalle parti di Cormons.
«Le tournée pesano, però ci fai l’abitudine - sosteneva - e mantengono in forma. È uno spostarsi giornaliero, di città in città, di piazza in piazza. Ci sono civiltà, come quella tedesca, o francese, o inglese, che agli attori garantiscono una casa teatrale, un luogo dove stare per anni. Noi italiani siamo sempre stati nomadi, comici randagi e poveretti, come ai tempi di Goldoni».
Tedeschi si era affermato come attore nella Milano della ricostruzione, alla fine degli anni ’40. E scalpitava per debuttare sul rivoluzionario palcoscenico che sarebbe presto diventato il Piccolo Teatro di quella grande città. Sarà, anni dopo, Peachum nell'«Opera da tre soldi» di Brecht e un indimenticabile Pantalone nello storico "Arlecchino". La professione gli avrebbe riservato presto grandi incontri: con la Magnani sul set, con Visconti e Mastroianni in un'altrettanto storica "Locandiera". Ma lui, con quello spirito allegro che pur novantenne si ritrovava addosso, preferiva forse ricordare quanto si fosse divertito a stare in tv con Cochi e Renato. O quanta fortuna avesse portato a formaggi spalmabili e cofanetti di caramelle, nella pubblicità dei Caroselli.
«Mi scuserà: ricordo poco. E sono rimbambito» aveva detto, mezzo rammaricato mezzo sornione. Non è vero. Là dove tocca le radici dell’esperienza la sua memoria è invece forte. Forte e vivissima. «Umanamente e tremendamente viva. Certi anni della mia vita sono sempre presenti in me. È stato un periodo importantissimo dal punto di vista umano. E tremendo».
Parlava della guerra. Di quella che lo aveva trascinato nei campi di concentramento di Sandbostel e Wietzendorf per non aver voluto aderire, in quanto ufficiale dell'esercito, alla Repubblica di Salò. «Lì ho incontrato e conosciuto Giovannino Guareschi. Con lui organizzavo, se così si può dire, degli spettacoli da campo. Giravamo nelle baracche: io a recitare delle liriche e lui a dire delle cose sue».
«Quando sto in scena - aveva aggiunto - i problemi fisici non li sento più, sento invece di essere vivo e forte. Come quando cominciavo. Avevo fatto la guerra, ero stato nei campi di concentramento, oramai non mi faceva paura niente. E avevo il coraggio di fare tutto».
Non parlava solo della "sua" guerra. «Ho soggiornato per lunghi periodi a Cormòns. Poco distante c’è una casa che mi ha sempre emozionato. Un edificio semidistrutto dai bombardamenti. Parlo della guerra del ’15-’18. Da allora è rimasto così. Intatto. Era un’infermeria delle retrovie».
Amico di Mario Rigoni Stern, Tedeschi tornava volentieri quassù. E le passeggiate sul Carso rafforzavano il suo rapporto con Walter Mramor e con Artisti.Associati, la compagnia goriziana con la quale ha dato vita a molti spettacoli negli ultimi vent'anni: "Le ultime lune", "Il medico per forza", "La rigenerazione". Soprattutto, "Smemorando", il suo spettacolo più autobiografico. Sottotitolo, "ballata del tempo ritrovato".
«Quello spettacolo, in cui ripercorrevo con leggerezza ma anche con serietà tutta la mia vita, mi è molto caro. Non solo per ragioni biografiche. È nel mio cuore anche per l’amicizia che mi legava a Gianni Fenzi. Nella sua prima regia, allo Stabile di Roma, io ero protagonista. Ed è stato come me che Gianni ha voluto realizzare anche la sua ultima. Poi dolorosamente è scomparso. Quando si dice il destino... Per questo anche la sua città 'adottiva', Trieste, mi è cara». —
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