Camon: «Il libro che piacque a Pasolini mi tirò addosso l’ira della mia famiglia»

VENEZIA. Il primo ricordo è legato allo squillo del telefono. A svegliare Ferdinando Camon, quella mattina del 1978, era stata la voce di Pier Paolo Pasolini. «Ho letto il tuo libro, vorrei scrivere la prefazione se sei d'accordo», aveva detto il poeta friulano degli "Scritti corsari". E qui arriva il secondo ricordo. Perché un titolo, quel romanzo, non ce l'aveva ancora. Visto che lo scrittore, nato a Urbana nel 1935, pensava di chiamarlo "Immortalità". Ma l'editore Livio Garzanti preferiva “Un altare per la madre”.
Come spesso accade, a spuntarla è stato l'editore. Che in questo caso è riuscito a portare fortuna a Camon, visto che il suo "Altare" ha vinto il Premio Strega nel 1978. Ieri, a quasi quarant'anni di distanza, lo scrittore ha parlato di quello e altri suoi libri nella giornata finale del Campiello. Un premio che non è mai riuscito a vincere, pur arrivando in finale a Venezia nel 1986 e nel 1989, ma che in questa 54° edizione gli ha assegnato il riconoscimento alla carriera della Fondazione. «Ogni volta che penso a 'Un altare per la madre' mi viene una gran confusione in testa - ha detto Camon - perché in quasi tutti i Paesi dov'è stato tradotto gli hanno cambiato il titolo. Gallimard in Francia l'ha chiamato "Apothéose", in America è uscito come "Memorial". E non sto a citare gli altri. In ogni caso - ha aggiunto - dopo, la mia vita è cambiata in peggio. Fino a quel momento mi servivo di una dattilografa per ricopiare i manoscritti. Quando le ho chiesto cosa pensasse del libro, mi ha risposto schietta: “Professore, in passato la ga scrito de mèio”. Però è piaciuto ai critici come Franco Fortini e al mio editore, che ne ha fatto un'edizione rilegata per i librai».
Il terzo ricordo è doloroso. Scrivendo quel ritratto implacabile del mondo contadino, che si stava disintegrando, Camon si è tirato addosso l'ira della famiglia: «Quando ho vinto lo Strega, mio padre e mio fratello hanno firmato un atto dal notaio per diseredarmi. Forse hanno fatto bene, perché un libro non vale una vita». Oggi, di quel mondo resta pochissimo. «Il Veneto cattolico ha perso il senso del divino, dell'aldilà. I giovani sono profondamente atei». (a.m.l.)
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