Carlo Rubbia: «L’Italia non investe nella ricerca e così perde l’equilibrio»

TRIESTE. Il premio Nobel Carlo Rubbia, nell’ambito delle celebrazioni per i 50 anni del Centro Internazionale di fisica teorica, oggi alle 18.30, al Teatro Rossetti, terrà una conferenza sul tema:...
Di Piercarlo Fiumanò
Silvano Trieste 06/10/2014 50th, The Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics
Silvano Trieste 06/10/2014 50th, The Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics

TRIESTE. Il premio Nobel Carlo Rubbia, nell’ambito delle celebrazioni per i 50 anni del Centro Internazionale di fisica teorica, oggi alle 18.30, al Teatro Rossetti, terrà una conferenza sul tema: “Il futuro dell’energia”.

Professor Rubbia, la crisi economica che attraversiamo è anche la fine di un modello di crescita in un mondo sovraffollato?

In ottant’anni, da quando sono nato, la popolazione del pianeta si è triplicata: l’energia primaria consumata da ciascuno di noi oggi è di 11,7 volte più grande. Non possiamo crescere all’infinito altrimenti il sistema in cui viviamo diventa instabile. La coabitazione forzata in un pianeta sovraffollato comporta rischi di conflitto.

Viviamo in una società del rischio?

La mia generazione nel dopoguerra ha vissuto in una situazione sociale ed economica molto più difficile rispetto a quella che viviamo oggi. Questa abitudine al sacrificio ha rafforzato il nostro spirito e ci ha permesso di affrontare situazioni molto più difficili e complesse. Sapevamo che la nostra esistenza non poteva che migliorare.

Oggi nell’era di Internet viviamo costantemente interconnessi. Pensa che sia un vantaggio?

La circolazione delle idee è molto più veloce. Ci sono molte più possibilità di scelta.

Eppure nonostante le grandi possibilità che ci offre l’economia digitale stiamo attraversando da otto anni una crisi che sembra non avere sbocchi.

Questa non è una crisi finanziaria globale. La Cina sta crescendo molto rapidamente. Nonostante debba fare ancora molta strada sul piano del progresso economico e sociale ormai è una grande potenza con risorse economiche e finanziarie pari a quelle degli Stati Uniti. Anche se gli operai cinesi non hanno la settimana di 35 ore dei francesi..

Perchè l’Europa soffre?

L’Europa investe nella ricerca e sviluppo la metà di Cina e Stati Uniti che spendono 84 miliardi di dollari l’anno. Di conseguenza non potrà mantenere a lungo il suo equilibrio culturale, tecnologico e di sviluppo. Rispetto a Germania e Francia, l’Italia investe pochissimo in innovazione. Le ragioni? Non credo che si tratti di un problema di finanza pubblica. Alla base c’è un ritardo culturale e poca spinta al cambiamento.

La parola innovazione viene pronunciata molte volte nel dibattito economico del Paese. Per gli stessi industriali è una sorta di mantra.

Proviamo a rapportarci verso la Germania dove lo Stato non investe molte più risorse dell’Italia nel proprio sistema industriale. La vera differenza è che in Germania le imprese tedesche investono tutti i contributi che ricevono dallo Stato in ricerca. In Italia invece questi investimenti sono pari a zero. A Berlino il Federal Foreign Office ha molte risorse provenienti dai grandi gruppi industriali privati. In Italia l’Enea può attingere solo ai fondi statali.

Lei è stato presidente dell’Enea dal 1999 al 2005: un’esperienza che si è chiusa bruscamente.

Ho cercato di fare qualcosa ma era una mission impossible. L’industria applicata in Italia dovrebbe essere riconosciuta dallo Stato e dal sistema industriale in modo molto più coerente. Ciò che conta è il metodo e le risorse. Non si possono pretendere subito i risultati. Anche nella Silicon Valley, dove è nata la Apple di Steve Jobs, soltanto una idea su tre poi si trasforma in applicazione industriale valida. Bisogna accettare l’idea che non tutto deve funzionare ma avere il coraggio di metterci lo spirito giusto.

Intanto molti giovani italiani nella Silicon Valley ci lavorano già oggi dopo avere abbandonato il Paese per la scarsità di risorse e il rifiuto del precariato. Come li riporterebbe in Italia?

Parliamo pure del nostro mercato del lavoro. Esiste un elemento buono e uno cattivo. In Italia esiste una generazione di talenti che sul piano professionale non hanno nulla da invidiare ai loro coetani all’estero. Sono in grado di andare a lavorare nei laboratori scientifici fuori dal nostro Paese e avere grande successo. Nessun grande gruppo straniero assumerebbe i nostri giovani se non avessero grandi potenzialità. E di questi talenti italiani io ne ho incontrati molti. Il nostro Paese ha un grande patrimonio di intelligenza che rappresenta una forma di produttività.

Qual è l’elemento cattivo?

Mi preoccupa il fatto che pochi giovani accettano di venire a lavorare in Italia dall’estero. Ciò significa che siamo di fronte a una situazione di squilibrio. Se per ogni italiano che va all’estero ci fosse un americano o un tedesco che accetta di venire a lavorare in Italia riusciremmo a colmare il divario. E invece il nostro Paese continua a impoverirsi.

Non riusciamo ad attrarre il merito?

Questa è la ragione per cui i nostri ragazzi vanno a lavorare all’estero e non tornano più. Negli Stati Uniti ci sono moltissimi cinesi che lavorano nelle loro università. Ma poi rientrano nel proprio Paese. Dobbiamo creare un’ambiente favorevole non solo perchè i nostri giovani possano tornare ma anche per attirare gli stranieri.

Su quali risorse energetiche deve puntare l’Italia?

Ci sono molte risorse in Italia, ma non c'è molto sviluppo. In tema di politica energetica, che deve essere affrontata a livello europeo, c’è molto da fare. Le riserve di gas naturale in Italia sono una sorgente ancora tutta da scoprire e sviluppare.

Esiste ancora una opzione nucleare?

Il nucleare non è la soluzione. É un capitolo chiuso perchè se è vero che un reattore nucleare non produce direttamente CO2, è vero però che c'è il grosso problema delle scorie radioattive e del loro smaltimento, e del rischio di instabilità e di incidenti, assolutamente poco probabili ma assolutamente disastrosi quando avvengono.

Qual è l’impatto economico e sociale del sistema scientifico triestino?

La scelta di creare a Trieste un sistema scientifico e tecnologico di grande livello fu, ai tempi in cui dirigevo il Sincrotrone, una risorsa per lo sviluppo della città in un’epoca in cui rischiava di subire una situazione di isolamento, anche a causa del blocco verso l’Est Europa. Investire sulla cultura e sulla conoscenza fu un fattore di sviluppo per Trieste. Oggi però dobbiamo proseguire in questa missione in un mondo che è completamente cambiato. Prima o poi dovremo chiederci cosa fare concretamente per fare progredire il sistema scientifico triestino.

Dobbiamo pensare a qualcosa di nuovo: penso al digitale e all’informatica e alle applicazioni industriali dell’economia digitale. In questo modo potrebbero esserci ricadute economiche anche sulla città con la creazione di nuovi posti di lavoro.

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