Carofiglio: «La mafia? È squallida»

Domani alla Libreria Lovat di Trieste l’autore di ”L’estate fredda” (Einaudi)
Di Roberto Carnero

di ROBERTO CARNERO

Deduttivo e razionale come Sherlock Holmes, paziente e ostinato come Maigret, malinconico, umano, torna con una nuova avventura il maresciallo Fenoglio. È infatti da poco in libreria il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio, “L'estate fredda” (Einaudi, pp. 300, euro 18,00), che verrà presentato a Trieste domani, alle 18.30, alla libreria Lovat di Viale XX Settembre 20. Nel primo pomeriggio dello stesso giorno Carofiglio terrà un incontro con i magistrati e gli avvocati triestini dal titolo "Si può credere ai testimoni?", dedicato all'arte e alle tecniche di ascolto dei testimoni nei processi.

Siamo all'inizio degli anni Novanta del secolo scorso, precisamente nel 1992, l'anno delle stragi dei magistrati Giovanni Falcone (23 maggio) e Paolo Borsellino (19 luglio), in un'Italia che appare quasi "geneticamente" diversa da quella odierna, in un mondo non ancora trasformato dalla rivoluzione tecnologica. Il figlio di un capo clan viene rapito; nessuno ne denuncia la scomparsa, eppure tutti sono a conoscenza del fatto. Il padre è sicuro di poter risolvere le cose da solo, ma non sarà cosí. Chiamato a indagare, il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio, piemontese trapiantato al Sud, si imbatterà in una vicenda insieme fosca e miserabile: sullo sfondo, gli oscuri rituali di una mafia crudele e finora mai raccontata nella pagine di un romanzo. Un libro in cui Carofiglio - barese, classe 1961, autore di best-seller tradotti in tutto il mondo - ha trasposto, seppure indirettamente, anche la propria esperienza di magistrato.

Carofiglio, come mai ha scelto di ambientare il suo romanzo nel 1992?

«Negli anni Novanta le indagini si svolgevano in maniera molto diversa da oggi, non essendo la tecnologia ancora giunta a dominare tutte le diverse fasi del lavoro investigativo. Volevo raccontare un modo di indagare basato quasi unicamente su quello che anche oggi, pur con tutti gli strumenti aggiornati di cui disponiamo, dovrebbe essere il cuore dell'attività degli inquirenti, vale a dire l'ascolto delle persone. In particolare il 1992 fu un anno chiave della lotta alla mafia: a un certo punto, con le stragi di Capaci e di via D'Amelio, si temette che la criminalità organizzata potesse avere la meglio sullo Stato, ma per fortuna non fu così. Fu dunque un anno cruciale, uno spartiacque della lotta ai mafiosi».

Dove si trovava quell'anno?

«Ero sostituto procuratore a Foggia. Nel romanzo c'è un elemento autobiografico preciso: anch'io, come avviene al protagonista del mio libro, appresi dela strage di Capaci mentre stavo interrogando un testimone di mafia».

Come mai ha scelto come investigatore un maresciallo piemontese trapiantato in Sicilia?

«Volevo rovesciare il luogo comune del carabiniere meridionale trasferito al Nord. Alcuni sostengono che per condurre una lotta efficace alla mafia, per comprendere e scardinare certe dinamiche, bisogna essere del posto. Ma è anche vero che a volte lo sguardo più freddo, più distaccato di uno che viene da fuori riesce a cogliere dettagli che invece uno sguardo ormai assuefatto a un certo ambiente rischia di trascurare».

Dopo molte narrazioni, letterarie e cinematografiche, della mafia, non dev'essere facile offrire un'interpretazione originale di questo mondo, cosa che invece lei è riuscito a fare. Come ha raggiunto questo risultato?

«Devo dirle che a mio giudizio i racconti credibili del fenomeno mafioso, sia nei libri che nel cinema, sono davvero rarissimi. È difficile trovare un effettivo realismo nella rappresentazione, che mostri ad esempio tutto lo squallore, il degrado, la meschinità degli ambienti mafiosi. A prevalere è spesso una malintesa mitizzazione. La stessa fiction Gomorra è senza dubbio un buon prodotto televisivo, ma finisce per rendere popolari personaggi negativi che magari qualcuno poi cerca pure di emulare. Io ho provato invece a raccontare il mondo reale, anche attraverso l'esperimento letterario di utilizzare, nelle pagine centrali del mio libro, il linguaggio dei verbali degli interrogatori, che conosco bene avendone svolti a centinaia quando ero pubblico ministero. Un'esperienza che oggi mi aiuta molto come narratore».

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