Cent’anni fa nasceva Alida Valli da Pola, la diva dei due mondi

La carriera, i film e il ricordo dell’attrice da parte del nipote sul Piccololibri Piero Chiara da riscoprire e la storia di Sergio e Bacco, santi e martiri gay

TRIESTE. “Una cinestella di Pola che comincia a brillare”. S’intitola così la prima intervista che Il Piccolo fa a una diciottenne Alida Valli, impegnata a Cinecittà nelle riprese di “Assenza ingiustificata” con Amedeo Nazzari. È il 2 settembre 1939, il quotidiano riporta in copertina la giornata di Danzica sotto il regime del Reich, che ha appena invaso la Polonia. Giovanissima, bellissima e molto determinata, Alida Valli - Alida Maria von Altenburger, di cui ricorrono il 31 maggio il centenario della nascita e il 6 aprile i quindici anni dalla morte, figlia del barone Gino e della pianista Silvia Obraker - nel ’39 ha già girato otto film dei “telefoni bianchi”, tra cui, quello stesso anno, “Mille lire al mese”.

La diva, che trafisse l’anonimo cronista del Piccolo con i suoi “occhi tigrati”, è la protagonista del paginone centrale del Piccolibri in uscita domani con il quotidiano: sette pagine di storie, autori da riscoprire e opere da rileggere, dedicate a Trieste, Gorizia e Monfalcone all’interno di Tuttolibri della Stampa.

Alida Valli, diva internazionale, “star dei due modi” come all’epoca solo Marlene Dietrich, ebbe una carriera lunga e costellata di successi, da “Piccolo mondo antico” di Mario Soldati, girato nello stesso anno, il ’41, in cui perse un grande amore, pilota della Regia Aeronautica, a “Strategia del ragno” di Bernardo Bertolucci, anno 1970. In tre decenni fu diretta sullo schermo da maestri come Hitchcock, Antonioni, Visconti, Pasolini. Sul Piccololibri la racconta suo nipote, l’attore e regista Pierpaolo De Mejo, figlio di Carlo, primogenito dell’attrice e del marito compositore jazz triestino Oscar De Mejo.

Una curiosa “mappa d’autore” ci fa scoprire chi è quell’Angiolina che, a Gorizia, dà il suo nome, senz’altra specificazione, a una via. Angiola, nata a Trieste nel 1825, era la terza figlia di Giovanni Guglielmo Sartorio, che andò in sposa al barone Heinrich Ritter de Zàhony, figlio di quel Gian Cristoforo che fu fautore dello sviluppo imprenditoriale di Gorizia. Madre di due figlie, Emma e Carolina, Angiolina visse un’esistenza agiata e privilegiata a Palazzo Attems Santacroce, attuale sede del municipio goriziano, ma si dedicò appassionatamente alla cura di orfani, indigenti e malati, con donazioni e un forte coinvolgimento personale, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “madre dei poveri”.

Così, quando nel 1895, su un appezzamento di terreno donato da suo marito Heinrich Ritter, fu costruita una nuova strada, il Comune decise di intitolarla proprio a lei, la benefattrice “Angiolina”. E l’intitolazione resistette anche all’avvento della nuova toponomastica di Gorizia italiana che, conclusa la prima guerra mondiale, cambiò quasi tutti i nomi delle strade.

Uno degli approfondimenti del Piccololibri ha per protagonista Sergio, tribuno militare a Tergeste ai tempi di Diocleziano, convertitosi al cristianesimo. In Siria, dove venne inviato nei primi anni del 300, condivideva la tenda nell’accampamento di Resafa con Bacco, anche lui guerriero di alto lignaggio, bello e convertito al cristianesimo. Molte fonti storiche e iconografiche confermano il rapporto d’amore nato tra i due giovani, che vennero denunciati, accusati di tradimento ed entrambi martirizzati.

La leggenda vuole che quando Sergio fu decapitato, un’alabarda sia caduta dal cielo sulla piazza maggiore di Tergeste, il “segno” che lui aveva profetizzato agli amici. I corpi dei due martiri sono stati rinvenuti nella chiesa assiro-cristiana di Urmia, attuale territorio iraniano, avvolti in una seta che reca un’iscrizione in aramaico: “Servi di Gesù, Sergio e Bacco”. John Boswell, professore di Storia a Yale, li cita come una delle coppie gay della chiesa primitiva nel suo libro “Cristianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo”. San Sergio è il secondo patrono di Trieste e si festeggia, insieme a San Bacco, il 7 ottobre.

Due le proposte per i romanzi da riscoprire, a partire da “Vedrò Singapore” di Piero Chiara, uscito quarant’anni fa con Mondadori. Il protagonista, l’autore stesso, è negli anni Trenta uno svogliato neo aiutante di cancelleria inviato alla Corte d’Appello di Trieste, che all’epoca estendeva la sua giurisdizione da Pontebba ad Aidussina, passando per Cividale, Gorizia, Monfalcone e Trieste. E qui nella lussuosa Villa orientale, casa di tolleranza tra le più rinomate della città, insegue la bella Ilde, la preferita dai clienti. Di Anita Pittoni l’invito alla lettura riguarda la raccolta “Passeggiata armata”, dove si colgono connessioni impensabili tra manualità e scrittura, tra la tecnica di tessitura “a maglie concatenate” che l’artigiana utilizzava e che diceva corrispondesse allo svolgimento dei suoi pensieri. 
 

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