Centocinquant’anni fa la breccia di Porta Pia metteva fine al potere temporale dei papi

Lo storico e teologo triestino Emanuele Fiume, pastore della Chiesa valdese: «Quel giorno segnò anche una svolta per il protestantesimo» 
“La breccia di Porta Pia” in un dipinto di Carel Max Quaedvlieg. Era il 20 settembre 1870 (Archivio Agf)
“La breccia di Porta Pia” in un dipinto di Carel Max Quaedvlieg. Era il 20 settembre 1870 (Archivio Agf)

Il 20 settembre, la fine

Centocinquant’anni fa, all’alba del 20 settembre 1870, quindicimila soldati pontifici, in massima parte zuavi, volontari quasi tutti di provenienza francese, belga o olandese, si prepararono ad affrontare gli assedianti, bersaglieri e fanti dell’esercito italiano che aspettavano da giorni la dichiarazione di resa dello Stato pontificio. Alle 5 del mattino, mentre le truppe italiane attaccavano da diversi punti, iniziò il cannoneggiamento delle mura. Pio IX aveva minacciato di scomunicare chiunque avesse comandato di aprire il fuoco sulla città. La minaccia non sarebbe stata un valido deterrente per l'attacco, comunque l'ordine di cannoneggiamento non giunse dal comandante delle truppe Raffaele Cadorna, bensì dal capitano d'artiglieria Giacomo Segre, giovane ebreo comandante della 5ª batteria del IX° Reggimento, che dunque non sarebbe incorso in alcuna scomunica. Il primo punto bombardato fu Porta San Giovanni, seguito dai Tre Archi di Porta San Lorenzo e da Porta Maggiore. Poco dopo le 9 iniziò ad aprirsi una vasta breccia a una cinquantina di metri alla sinistra di Porta Pia. Una pattuglia di bersaglieri del 34º battaglione fu inviata sul posto a constatarne lo stato. I comandanti d'artiglieria ordinarono di concentrare gli sforzi proprio in quel punto e dopo dieci minuti d'intenso fuoco, la breccia era abbastanza vasta da permettere il passaggio delle truppe. I soldati pontifici si arresero, sancendo così l'annessione di Roma al Regno d'Italia e mettendo la parole fine al potere temporale dei papi dopo più di mille anni.

“La breccia di Porta Pia” in un dipinto di Carel Max Quaedvlieg. Era il 20 settembre 1870 (Archivio Agf)
“La breccia di Porta Pia” in un dipinto di Carel Max Quaedvlieg. Era il 20 settembre 1870 (Archivio Agf)


Fra le varie iniziative che ricordano la Breccia di Porta Pia c’è anche un evento organizzato dalla Chiesa valdese oggi a Roma, su iniziativa del pastore Emanuele Fiume, triestino, storico e teologo. «Lo facciamo - spiega Emanuele Fiume - perché questo evento storico rappresenta per noi valdesi l’apertura di tante possibilità: possibilità di esistere come protestanti a Roma, di difendere gli ultimi, di esprimere la fede nella verità che rende liberi. Quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, non potremo festeggiare il 150° anniversario della presa di Roma come avremmo desiderato: avevamo pensato a una serie di eventi per ricordare l’apertura alla libera predicazione e la fine della discriminazione delle minoranze religiose, ma ci saremmo anche confrontati con le speranze su Roma da parte del protestantesimo italiano dell’epoca».

Che cosa accadde il 20 settembre 1870?

«Dopo un millennio, il papa perse il controllo del territorio romano: continuava ad essere papa, ma non era più re. Se il protestantesimo aveva interpretato l’ascesa del potere spirituale del vescovo di Roma, dal V-VI secolo in avanti, come inizio della decadenza della purezza del cristianesimo primitivo, ne aveva compreso il potere temporale come uno dei grandi ostacoli all’affermazione o almeno alla libertà della predicazione evangelica nella penisola italiana. Ricordo, tra l’altro, che Roma era stata fin dai primissimi tempi della predicazione apostolica sede di una comunità cristiana molto importante, condotta da pastori fedeli e forgiata da grandi persecuzioni».

Da quel giorno, la predicazione dell’Evangelo tornò libera in Roma: che cosa vuol dire?

«Vuol dire che da allora in avanti non è stato più proibito dalla legge il possesso, e quindi la lettura, della Bibbia in lingua italiana. Vuol dire che è stato possibile costituire chiese evangeliche con libero accesso per tutti gli interessati, tanto che i valdesi costruirono il tempio di via IV Novembre, presso piazza Venezia, la cui inaugurazione nel 1883 fu riportata da giornali inglesi, tedeschi e americani. Da allora, il cristianesimo a Roma si mostrò come è nel mondo: variegato, plurale e dialettico».

Com’era, all’epoca, la situazione per i protestanti a Trieste?

«I territori dell’Impero prima austriaco e poi austroungarico avevano conosciuto la tolleranza religiosa dagli anni ottanta del Settecento. Cioè, a Trieste era lecito possedere e leggere la Bibbia in lingua popolare e partecipare al culto evangelico pubblico quasi un secolo prima che a Roma. A Trieste, tra le tante comunità religiose che fiorivano con il porto franco e che erano allo stesso tempo attrici e frutto della prosperità economica e culturale della nostra città, ci furono la chiesa luterana, espressione dell’immigrazione tedesca e la chiesa riformata di confessione elvetica, formata da grigionesi e da cechi, ungheresi e austriaci. Dal punto di vista della dottrina, la chiesa riformata di confessione elvetica è sorella gemella della chiesa valdese».

Che cosa era successo?

«Un imperatore cattolico e illuminista, Giuseppe II, sinceramente interessato alla religione, per la prima volta nella Storia della dinastia asburgica aveva rifiutato di esercitare qualsiasi forma di coercizione della coscienza. Come a dire: la mia convinzione religiosa si confronta, dialoga, anche litiga, ma non ha alcun diritto di violentare la tua. Non è un relativismo, ma il riconoscimento che la sede della religione è la coscienza di ciascuno, e che la coscienza di ciascuno è sacra e inviolabile. Alla fine dell’Ottocento si costituì la comunità metodista che ora è a Scala dei Giganti. Dopo la prima guerra mondiale fu costituita anche la chiesa valdese. Per noi fu la libertà per annunciare e vivere il Vangelo di Gesù Cristo con semplicità e con tenacia e per invocare il regno di Dio cercando il bene e la giustizia per tutti».

Dopo il 20 settembre 1870 i protestanti non sono più stati discriminati in Italia?

«Diciamo che, da quel giorno in poi, qualsiasi tentativo poliziesco di impedire libere assemblee di carattere religioso sarà inefficace. Bisogna sicuramente dire che le chiese pentecostali e altri evangelici sono stati oggetto della repressione fascista e che le norme restrittive sulle riunioni religiose “non autorizzate” purtroppo sono rimaste in vigore (venendo talvolta sciaguratamente applicate) fino al primo decennio dell’Italia repubblicana. Ed episodi di questo tipo si verificano ancora oggi». —
 

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