Cervi Kervischer sbarca a Firenze con amori e paure dell’emergenza virus

Marianna Accerboni
L’artista triestino Paolo Cervi Kervischer da Trieste a Firenze: a condurvelo e a farlo esporre allo Studio Bong, a due passi da piazza della Signoria, è Elisabetta Zerial, giovane curatrice triestina che nel capoluogo toscano ha conseguito la laurea magistrale in Storia dell’arte e si è quindi formata professionalmente.
Intitolata “Love or fear? What do you feel?” (Amore o paura? Che cosa provi?), la rassegna, che propone una selezione di lavori di Kervischer, si evidenzia come una sorta di riflessione esistenziale espressa dopo il coronavirus. Introspettiva e nel contempo dinamica, l’opera del pittore - nato nel 1951 a Trieste, dove ha studiato con Nino Perizi, approfondendo poi il linguaggio pittorico all’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la guida di Emilio Vedova - può infatti identificarsi come un sensore notevole degli stati d’animo positivi o negativi e delle angosce umane. E in un momento come questo l’isolamento sociale (anche se ore è parziale) e l’ansia del periodo dell’emergenza, possono sicuramente essere coerenti con il sismografo della paura e del disagio, ma anche della libertà d’espressione, matrice fondamentale della pittura di Cervi. Dalle maglie del recente passato e del quotidiano traspare negli acrilici su tela soprattutto di grande dimensione e nella coinvolgente installazione di 5 totem esposti in mostra, un controluce di attesa e di paura, ma anche di vitalità e di grande energia. Sentimenti contrastanti che confluiscono e si palesano nel magma complesso della pittura dell’artista, formatosi per altro a Venezia in un periodo molto significativo, cioè quello di poco successivo al momento in cui, nel dopoguerra, la grande collezionista americana Peggy Guggenheim vi aveva traghettato dagli Stati Uniti le opere dei protagonisti dell’avanguardia americana, intrise di forte e libera gestualità. Una lezione che certamente non ha mancato d’influenzare in modo subliminale Kervischer e di farlo riflettere sull’importante corrispondenza tra il gesto pittorico e l’emozione.
Cenni poetici e fantastici affiorano tra le trame misteriose e sottilmente simboliche dell’artista, evocazioni criptiche trapelano in seno ad atmosfere straniate e a volte rarefatte, in cui potenzialmente tutto potrebbe accadere. Dipinti e opere che hanno trovato consenso dalla fine degli anni Settanta a oggi in sedi espositive di prestigio in Italia e all’estero, dalla Cina e dalla Svizzera all’Austria, all’Ungheria e alla Germania, dal Messico agli Stati Uniti.
La mostra fiorentina, che si concluderà il 26 luglio, si palesa per altro come una premessa della più ampia esposizione che vedrà Kervischer protagonista il prossimo anno, con la curatela di Zerial, di una personale a Palermo nella Sala della Cavallerizza del cinquecentesco Palazzo Branciforte, dove nel 2017 ebbe luogo una retrospettiva su Vedova. Uno storico edificio situato nel cuore della città e restaurato con la consueta classe, come polo museale, da Gae Aulenti, dove verranno rievocati e ripercorsi in un’importante antologica gli ultimi quarant'anni della creatività dell’artista. —
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