Checco l’immigrato al contrario prende in giro destra e sinistra

Partiamo da una considerazione: piaccia o meno, Checco Zalone è l’unico vero fenomeno di massa del cinema italiano, e l’unica satira proveniente dal grande schermo che abbia la forza di bucare gli altri media, scatenare polemiche, diventare a volte oggetto di dibattito politico. “Tolo Tolo” dunque, al di là del puro valore dell’opera, è un prodotto cinematografico dal quale non si può prescindere. Ed è però anche una commedia intelligente che sfrutta l’imbattibile ricetta di Zalone, fatta di esasperazione dello stereotipo dei peggiori vizi italici e sprezzo del politicamente corretto, per parlare del nervo scoperto dell’Italia di oggi, il rapporto con l’immigrazione. Del resto coi suoi film precedenti (seppur diretti da Gennaro Nunziante) Zalone è stato sempre “sul pezzo” della strettissima attualità: ha irriso talent show e cantanti neomelodici in “Cado dalle nubi” (2009), il terrorismo islamico in “Che bella giornata” (2011), la scalata sociale e la lotta di classe in “Sole a catinelle” (2013), l’abolizione delle provincie e l’ossessione per il posto fisso in “Quo vado? ” (2016). In tutti i film, curiosamente, Checco è un “migrante”, di solito dalla Puglia al nord. Questa volta invece, per fuggire dai debiti accumulati con l’idea fallimentare di un ristorante di sushi in mezzo alle Murge, Checco emigra addirittura in Africa. Lo troviamo cameriere in un resort di lusso, ancora amareggiato da come la burocrazia italiana, secondo lui, ha ucciso il suo sogno di imprenditore. Nonostante non abbia un soldo, è vestito come il tipico italiano arricchito in vacanza: camicia Armani, scarpe Prada, e borsa Louis Vuitton. E dopo un attentato terroristico, Checco è costretto a migrare al contrario per tornare in patria. Ma per non farsi rintracciare dallo stato italiano decide di fare il viaggio da clandestino, attraverso il deserto, i campi di detenzione in Libia, la traversata sul barcone. Scoprendo di essere in realtà esattamente come gli africani che lo circondano, «uno di loro».
Luca Medici, vero nome del regista, usa la maschera dell’ignorante e rozzo Checco Zalone (“cozzalone” in pugliese significa appunto “tamarro”) non per impartire lezioni morali, ma per far specchiare da sé lo spettatore nelle sue bassezze. Ed è un “nuovo mostro” particolarmente efficace perché non fa distinzioni politiche: spara dove deve sparare, sul populismo, sul fascismo intrinseco degli italiani pronto a uscire fuori «con lo stress e con il caldo, come la candida», sull’Europa che si spartisce i migranti un tanto al chilo, sull’ipocrisia di certi supposti intellettuali di sinistra, come il documentarista francese che salva dal deserto Checco e i suoi amici per sfruttare le loro storie e poi li lascia in balia dei carcerieri libici. Non a caso il suo modello è Alberto Sordi, non solo nel suo film africano (“Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” di Ettore Scola) ma in tutti i suoi personaggi sconvenienti, irritanti, persino disgustosi nel loro cinismo nei confronti della legalità. “Tolo Tolo”, il primo film da regista di Zalone, fa ridere molto, anche se meno degli altri. Di certo ha squarci più delicati, a tratti surreali, quasi poetici: Zalone dimostra maturità dietro la macchina da presa e si sente la mano in sceneggiatura di Paolo Virzì, un “carico di coscienza” che rende la commedia meno spensierata, ma sempre tagliente. Il finale è una vera sorpresa, non solo perché è girato a Trieste, tra Ponterosso e un attracco da sogno sulla Scala Reale di fronte a Piazza Unità, ma anche perché finisce letteralmente in un cartone animato che spiega ai bambini africani perché non hanno avuto la fortuna di nascere in Occidente. “Tolo Tolo” merita di certo la visione e Zalone, che questa volta ha scritto, diretto, interpretato e composto le canzoni originali del film, deve essere finalmente considerato a ragione un autore chiave della commedia italiana. –
Tolo Tolo di Luca Medici con Checco Zalone, Souleymane Silla, Manda Touré, Nassor Said Birya
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